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Cambiamenti oceanici mai visti

cnr 30 Apr 2019
Figura 1. Confronto tra andamenti temporali in comunità marine Nell’ultimo decennio il riscaldamento terrestre ha portato a mutamenti biologici su scala oceanica senza precedenti. Un nuovo studio internazionale, a cui partecipa il Cnr-Ismar, suggerisce che le future variazioni di temperatura avranno effetti ancor più importanti sulla vita marina. I risultati, pubblicati su Nature Climate Change, sono stati ottenuti grazie a un nuovo modello numerico globale costruito sulla teoria ‘Metal’ Secondo il 5th Assessment Report dell’Intergovernmental Panel on Climate Change dal 1995 l'oceano globale ha assorbito oltre il 90% del calore in eccesso intrappolato nell'atmosfera dai gas serra. Tuttavia, solo una minuscola parte degli oceani è attualmente monitorata rispetto al cambiamento globale, il che limita la nostra capacità di prevedere le sue implicazioni sulla biodiversità a scala oceanica. Alessandra Conversi dell’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ismar) partecipa a un team di ricerca internazionale, guidato dal Cnrs (Francia), che, utilizzando un nuovo modello numerico globale, prevede che l'aumento del calore oceanico porterà a sostanziali cambiamenti biologici nel mare. Lo studio, pubblicato su Nature Climate Change, identifica in particolare alterazioni inusuali nella vita marina dopo il 2010 nel Pacifico, nell'Oceano Atlantico e nell'oceano Artico. “Questi risultati suggeriscono l'inizio di una nuova era climatica caratterizzata da forti cambiamenti biologici in regioni sempre più diffuse”, spiega Conversi.
E’ risaputo che i cambiamenti climatici hanno effetti sulla biodiversità marina, tuttavia può accadere che in un periodo di tempo relativamente breve (ordine anno) si modifichi l’intera rete trofica di un ecosistema, con impatti anche devastanti sui servizi ecosistemici e sulle collettività che ne usufruiscono. Questi fenomeni, detti ‘phase’, ‘regime’ o ‘abrupt shifts’, o cambi/salti di sistema, sono stati identificati in molti bacini marini, per esempio nel Mare del Nord e in Adriatico a fine anni 80. Per capire e predire i cambiamenti nella biodiversità marina il team scientifico ha progettato un modello numerico globale basato sulla teoria ‘Metal’ (Macro-Ecological Theory on the Arrangement of Life) sviluppata da Gregory Beaugrand. “Con questo modello, sono state create un gran numero di specie simulate (pseudo-specie) caratterizzate da diversa tolleranza alla temperatura. In ogni regione oceanica restano solo le pseudo-specie adattate alle variazioni locali della temperatura e formano pseudo-comunità”, chiarisce Conversi. Per verificare l’efficacia delle predizioni, il modello è stato inizialmente testato su quattordici regioni oceaniche per le quali esistevano osservazioni multi-decennali (dagli anni '60) dovute a programmi di monitoraggio. “Questi test hanno dimostrato che le previsioni teoriche (pseudo-comunità) del modello ‘Metal’ mostrano cambiamenti temporali molto simili a quelli osservati nelle comunità reali (Figura 1), ovvero sono credibili e quindi le predizioni si possono usare in zone in cui non vi sono osservazioni”, continua Conversi. Il modello è stato poi applicato su scala globale nel periodo 1960-2015. “Applicando il modello, siamo riusciti a quantificare la forza e l'estensione spaziale dei ‘regime shifts’ a scala globale: ‘Metal’ ha infatti identificato tra il 2010 e il 2015 un ‘cambiamento senza precedenti e massiccio’ nelle popolazioni oceaniche (Figura 2, 3), che può essere attribuito a El Nino, alle anomalie di temperatura in Atlantico e nel Pacifico e al riscaldamento dell'Artico”, prosegue la ricercatrice Cnr-Ismar. I programmi di monitoraggio delle popolazioni marine coprono solo una piccola area dell'oceano, solitamente vicino alla costa. “Questo nuovo modello basato sulla teoria ‘Metal’ offre invece una copertura globale e può essere usato in congiunzione con i sistemi di monitoraggio esistenti, consentendo quindi la predizione dei principali cambiamenti biologici su scale più ampie in spazio tempo di quanto sia possibile fare con i soli dati osservati. Può inoltre fornire segnali di allarme precoce (early warnings) sui cambi di regime negli ecosistemi marini, e allertare sulle possibili conseguenze sui servizi ecosistemici associati, come la pesca, l'acquacoltura, il turismo”, conclude Conversi.
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