Giovedì, 01 Luglio 2021

 

 

Team di ricerca internazionale su «Nature Communications» scopre come trasmettere in toto nelle zanzare i geni che bloccano la trasmissione della malaria.

La malaria uccide 400.000 persone all’anno in Africa e finora nessuna delle strategie classiche di controllo (zanzariere, insetticidi, farmaci, candidati vaccini) ha funzionato in modo soddisfacente nei Paesi a basso reddito. Ispirandosi a questi meccanismi naturali, un team di ricercatori dell’Imperial College di Londra, della North Carolina State University, dell’Università tedesca di Würzburg e della britannica Keele University guidato dal prof. Andrea Crisanti, Direttore del Dipartimento di Medicina molecolare dell’Università di Padova, sta provando a vincere un’altra sfida plurimillenaria, quella tra uomo e malaria.


Lo studio sul controllo genetico delle zanzare vettrici della malattia A genetically encoded anti-CRISPR protein constrains gene drive spread and prevents population suppression, pubblicato su «Nature Communications» rappresenta l’ultimo progresso in questa direzione. I ricercatori avevano già messo a punto uno stratagemma per favorire la diffusione di geni utili a bloccare la trasmissione della malaria, causando sterilità nelle zanzare Anopheles gambiae o uno sbilanciamento tra i sessi tale da azzerare il loro tasso di riproduzione nel giro di qualche mese. «I meccanismi mendeliani che regolano l’ereditarietà rappresentano una pesante limitazione: ogni volta che una zanzara modificata si accoppia con una selvatica, infatti, la modificazione genetica verrà ereditata solo dalla metà dei suoi figli e si troverà diluita nella popolazione – spiega il prof Crisanti -. Se però il gene di interesse viene trainato da un drive genetico, ovvero da un elemento capace di auto-propagarsi, la caratteristica desiderata passerà all’intera progenie. Il metodo più efficace per far funzionare questo approccio è il copia-incolla eseguito con CRISPR/Cas9, che nei gene drive diventa una macchina di correzione perpetua del genoma, attiva generazione dopo generazione.

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Il “clone in 3D” dell’organo del donatore, in scala 1:1 e con la fedele riproduzione dei vasi sanguigni e delle vie biliari, è stata ottenuto incrociando i dati della risonanza magnetica e della TC. Il modello ha guidato i chirurghi di Niguarda nell’esecuzione del trapianto da vivente con il figlio che ha donato al padre metà del suo fegato.

Prepararsi all’intervento e impostare in anticipo la strategia chirurgica migliore potendo guardare e toccare l’esatta ricostruzione anatomica in 3D del fegato che si andrà a trapiantare. E’ quello che è successo all’ospedale Niguarda di Milano, dove l’équipe dei trapianti, guidata da Luciano De Carlis, ha potuto portare a termine un trapianto di fegato unico nel suo genere.


Nello specifico si è trattato di un trapianto di fegato da donatore vivente che ha avuto come protagonisti il figlio in veste di donatore e il padre in veste di ricevente. Il modello tridimensionale del fegato del donatore è stato stampato con un gel biosimilare che mima la consistenza dei tessuti biologici, si tratta di un a ricostruzione in scala 1:1 con identico peso dell’organo e anatomia dei vasi e delle strutture fedele al 100%. Il “clone in 3D” è stato realizzato incrociando i dati della risonanza magnetica e della TC del fegato del donatore.

Pubblicato in Medicina



In uno studio appena pubblicato su Communications biology, una rivista del gruppo Nature, un team di ricercatori coordinato dal Prof. Simone Tosi dell’Università di Torino, ha svolto un ampio esperimento internazionale su più sottospecie di api per valutare gli effetti a breve e lungo termine di un pesticida di nuova generazione, il flupyradifurone. La ricerca dimostra come questo pesticida, definito "sicuro per le api", comprometta la sopravvivenza e il comportamento delle api anche a livelli di contaminazione bassi.

L'aumento dell'uso di pesticidi è una delle principali cause della riduzione della salute delle api, della biodiversità degli insetti e minaccia l'impollinazione negli ecosistemi naturali e agricoli. Per affrontare questo problema, un team di ricerca internazionale ha quindi valutato gli effetti a lungo termine di un nuovo pesticida, il flupyradifurone, che viene commercializzato come relativamente "sicuro per le api".

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