Replicare questa struttura è stato possibile grazie all’uso di nanotecnologie simili a quelle usate per i circuiti integrati. Le strutture così costruite vengono alimentate con un sistema microfluidico. “Quello che abbiamo dimostrato – prosegue Barillaro – è che le strutture così composte riescono a mantenere l’attività e le caratteristiche della cellula più a lungo rispetto a quanto non accada con una normale coltura, un mese invece che una settimana, e creare condizioni fisiologiche molto simili a quelle del corpo umano. Questo permette test farmacologici a medio termine, con la conseguenza di poter ridurre l’uso di cavie animali. Replicando in modo sempre più accurato la struttura del lobulo epatico potremo arrivare a effettuare test farmacologici con risultati ancora più attendibili e vicini a quelli ottenuti sull’uomo, e anche ricreare su chip alcune tra le più importanti funzionalità del fegato per andare verso una medicina personalizzata”.
Al momento gli organi-chip hanno destato l’interesse sia dell’Europa che degli Stati Uniti, che hanno avviato la creazione di uno Humanchip, ovvero la riproduzione di diversi organi chip, che poi verranno messi in connessione tra loro per riprodurre la fisiologia umana. Questo renderà possibile testare farmaci su un organo specifico, ma anche controllarne l’impatto sugli altri. In Europa al momento è ai primi passi la costruzione di una flagship sugli organi chip, che includerebbe non solo partner accademici, ma aziende interessate a portare avanti i risultati della sperimentazione.