Un gruppo ricerca guidato da scienziati dell’Università di Bologna ha messo a punto un sistema che utilizza un particolare batteriofago, un virus che infetta i batteri e innocuo per gli esseri umani, come stampo per la sintesi di nuove nanoparticelle fotosensibili, capaci di eliminare in modo mirato cellule e tessuti tumorali.


Anche i virus possono diventare nostri alleati. In particolare, alcuni virus che infettano i batteri possono, per esempio essere modificati geneticamente affinché diventino di fatto nanobioparticelle mirate, in grado di eliminare specifiche cellule e tessuti tumorali. Un gruppo di ricerca dell’Università di Bologna ha utilizzato a tale scopo alcuni batteriofagi da modificare in nuove nanoparticelle. Lo studio è stato realizzato nell’ambito del progetto NanoPhage, sostenuto da Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro. I risultati pubblicati sulla rivista Small hanno mostrato che questa strategia potrebbe diventare un importante strumento in molti campi diagnostici e terapeutici, incluso l’ambito oncologico. "Abbiamo messo a punto e testato un metodo che sfrutta le proprietà di specifici virus innocui per gli esseri umani. Opportunamente modificati in laboratorio, tali virus potrebbero permettere di superare alcune limitazioni dell'utilizzo di nanoparticelle in medicina", spiega Matteo Calvaresi, professore al Dipartimento di Chimica "Giacomo Ciamician" dell'Università di Bologna e ricercatore all'IRCCS Policlinico di Sant'Orsola, che ha coordinato lo studio. "Quando viene esposta alla luce, la nanobioparticella che abbiamo realizzato è capace di eliminare rapidamente le cellule e i tessuti tumorali con grande selettività, risparmiando le cellule sane".


I risultati di uno studio di Monzino e Università Statale di Milano, pubblicati sul Journal of American College of Cardiology Basic to Translational Science , identificano nell’infiammazione di basso grado e nell’attivazione piastrinica la causa dei danni polmonari, responsabili dei maggiori disturbi nella sindrome Long Covid, rendendo possibile una cura farmacologica personalizzata.


Un gruppo di ricercatori dell’ IRCCS Centro Cardiologico Monzino e dell’Università degli Studi di Milano, guidati da Marina Camera, Responsabile dell’Unità di Ricerca di Biologia Cellulare e Molecolare Cardiovascolare del Monzino e Professore Ordinario di Farmacologia presso l’Università Statale di Milano, in collaborazione con i clinici del Centro Cardiologico Monzino e dell’Istituto Auxologico Italiano, ha individuato i meccanismi molecolari alla base dei disturbi polmonari nei pazienti che soffrono della sindrome Long COVID, aprendo la strada a una possibile terapia.


Uno studio internazionale, coordinato dalla Sapienza, ha dimostrato il coinvolgimento della citochina GDF15, nota per causare la riduzione dell’appetito, nella progressione della SLA. Il lavoro, pubblicato sulla rivista Brain Behavior and Immunity, suggerisce un nuovo potenziale biomarcatore e bersaglio terapeutico per il trattamento della malattia
La sclerosi laterale amiotrofica (SLA) è una malattia multifattoriale caratterizzata dalla degenerazione progressiva dei motoneuroni e dalla paralisi muscolare. Nonostante i trattamenti attualmente utilizzati, i pazienti sopravvivono solo 3-5 anni dopo la diagnosi iniziale.

La perdita di peso è un’importante caratteristica clinica, al momento della diagnosi, delle persone affette da SLA. Con una prevalenza stimata del 56%-62%, la perdita di peso è definita come un rilevante e indipendente fattore prognostico. Diversi studi hanno riportato che il decorso della malattia è sfavorevole quando i pazienti perdono peso rapidamente o hanno un indice di massa corporea basso al momento della diagnosi.


Una ricerca coordinata dall’Istituto per la bioeconomia del Cnr e dall’Istituto Luke di Helsinki ha individuato proprietà antiossidanti, antibatteriche e antivirali nell’estratto ottenuto dalla corteccia e dai rametti di abete rosso. Lo studio in vitro, pubblicato su Separation and Purification Technology, avvia una potenziale nuova fase per questo settore, incentrata sullo sviluppo industriale di prodotti utili per la salute dell’uomo
Uno studio coordinato dall’Istituto per la bioeconomia del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr- Ibe) e dall’Istituto Luke di Helsinki (Finlandia), ha rivelato le elevate proprietà antiossidanti, antibatteriche e antivirali dell’estratto di corteccia di abete. I risultati della ricerca in vitro, a cui hanno partecipato altri partner italiani, finlandesi e statunitensi, sono stati pubblicati sulla rivista Separation and Purification Technology.

 

Un passo verso la creazione di un cuore a partire da cellule staminali pluripotenti. Nuove conoscenze e tecniche per una futura generazione di organi umanizzati
Il trapianto di organi rappresenta la soluzione definitiva per numerose malattie gravi, ma la disponibilità di organi è tristemente insufficiente a soddisfare le richieste globali. Solo in Italia, nel 2024, sono circa 8.000 i pazienti in lista di attesa, una situazione che rende urgente la ricerca di fonti alternative di organi. Ministero della Salute e Centro nazionale trapianti (Cnt) indicano come circa 6.000 pazienti stanno aspettando un nuovo rene, poco meno di 1.000 un fegato, circa 700 un cuore, oltre 200 un polmone e altrettanti un pancreas.
Una delle soluzioni più promettenti per risolvere il problema potrebbe risiedere nella produzione di organi umani a partire da cellule staminali pluripotenti. Queste cellule, infatti, hanno la capacità di differenziarsi in qualsiasi tipo di tessuto o organo e, grazie alla loro capacità di moltiplicarsi in laboratorio, potrebbero consentire la generazione in grande quantità di organi e tessuti umani.


Un innovativo nanosistema capace di veicolare farmaci in maniera altamente specifica verso le cellule tumorali è stato messo a punto da ricercatori del Consiglio nazionale delle ricerche che lavorano al Cnr-Isasi, Cnr-Ieos e Cnr-Irgb. Il dispositivo sviluppato è anche in grado di monitorare il rilascio dei farmaci e consentire l’imaging diagnostico. I risultati dello studio sostenuto da Fondazione AIRC sono
stati pubblicati sull’International Journal of Nanomedicine.


LA PROTEINA NUMB È L’INTERRUTTORE PER LA DIAGNOSI DELLE FORME PIÙ AGGRESSIVE”

NUMB è la proteina che costituisce un biomarcatore nell’evoluzione del tumore alla vescica: lascoperta del meccanismo molecolare apre la strada a nuove strategie terapeutiche per combattere il cancro vescicale. Lo studio, condotto dal team di ricercatori dell'Istituto Europeo di Oncologia (IEO) e dell'Università degli Studi di Milano e pubblicato su Nature Communications, dimostra inoltre che i tumori vescicali superficiali e quelli profondi rappresentano stadi differenti di un unico processo patologico che evolve nel tempo, contrariamente a quanto ritenuto fino ad ora.

Una nuova speranza per la diagnosi e la cura dei tumori della vescica più aggressivi nasce dalle ricerche di un gruppo di scienziati dell'Istituto Europeo di Oncologia (IEO) e dell'Università degli Studi di Milano. Lo studio sostenuto da Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro è stato coordinato da Salvatore Pece, professore ordinario di Patologia generale e vicedirettore del Dipartimento di Oncologia ed Emato-Oncologia dell'Università Statale di Milano, Direttore del Laboratorio “Tumori Ormono-Dipendenti e Patobiologia delle Cellule Staminali” dello IEO.



Un team del Cnr-In e dell’Università di Padova ha messo a punto una tecnica innovativa per studiare come gli organelli all’interno delle cellule si scambiano informazioni e coordinano le loro attività, favorendo quindi la comprensione di fondamentali processi fisiopatologici. La ricerca, che ha coinvolto anche istituzioni scientifiche internazionali, è pubblicata su Nature Communications

Le nostre cellule sono in grado di svolgere le più svariate attività grazie all’esistenza, al loro interno, di minuscoli organelli di diverso tipo, che funzionano come gli ingranaggi dentro un motore. Affinché un motore funzioni bene, tutti questi ingranaggi devono lavorare in sincronia; similmente, per far funzionare le nostre cellule, bisogna che i loro diversi organelli coordinino le loro attività in modo ottimale. Questo complesso livello di coordinazione viene raggiunto anche grazie all’esistenza di zone di contatto tra gli organelli stessi. In queste regioni subcellulari, gli organelli sono fisicamente molto vicini uno all’altro e ciò permette loro di scambiarsi informazioni con elevata efficienza, per lo più sotto forma di un veloce scambio di molecole, contribuendo così alla sincronizzazione delle loro attività.


Team di ricercatori internazionale guidato dall’Università di Padova ha dimostrato come l’oleuropeina, una molecola presente nelle foglie di ulivo, sia capace di contrastare il declino della funzionalità mitocondriale legato all’invecchiamento muscolare. Lo studio Mitochondrial calcium uptake declines during aging and is directly activated by oleuropein to boost energy metabolism and skeletal muscle performance pubblicato sulla prestigiosa rivista «Cell Metabolism» è stato condotto da Gaia Gherardi, Cristina Mammucari e Rosario Rizzuto del Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università di Padova, e da Anna Weiser, Jerome Feige e Umberto De Marchi del Nestlé Institute of Health Sciences di Losanna. Ha inoltre coinvolto ulteriori ricercatori dell’Università di Padova, in particolare dei Dipartimenti di Scienze del Farmaco e di Biologia.


Il risultato frutto di I-Gene, un progetto coordinato dall’Università di Pisa che è stato premiato per l’alto contenuto innovativo dall'European Innovation Council

 La chirurgia genica ha un nuovo alleato, sono le nanoparticelle d’oro grazie alle quali i principi attivi riescono ad entrare nel nucleo delle cellule e agire sul DNA eliminando le mutazioni dannose. La scoperta arriva dal progetto europeo I-Gene appena giunto a conclusione e premiato dall'European Innovation Council per il suo alto contenuto innovativo. Si tratta di un riconoscimento che la Commissione Europea concede in caso di risultati estremamente rilevanti.

“Siamo un'epoca in cui possiamo editare i genomi e questo significa che se ci sono degli errori, noi tendenzialmente li possiamo correggere, ma per trasformare tutto questo in terapie e applicazioni utili c’è un collo di bottiglia”, spiega la professoressa Vittoria Raffa del Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa, coordinatrice del progetto.

 

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