Ricerca dell’Università di Padova, in collaborazione con IRCCS “E. Medea” di Conegliano e Università di Cambridge, scopre relazione tra il funzionamento neurale in condizioni di riposo e il funzionamento cognitivo quotidiano in bambini di età prescolare.
L’attività cerebrale dei bambini a riposo cambia in base al sesso biologico e all’età? È possibile prevedere eventuali problemi comportamentali, emotivi o legati alle funzioni esecutive attraverso questa attività?
La risposta arriva dalla ricerca dal titolo Dynamic transient brain states in preschoolers mirror parental report of behavior and emotion regulation, pubblicata sulla rivista «Human Brain Mapping», guidata da Lisa Toffoli e Giovanni Mento del Dipartimento di Psicologia Generale dall’Università di Padova in collaborazione con Gian Marco Duma dell’IRCCS “E. Medea” di Conegliano e Duncan Astle dell’Università di Cambridge.


Un gruppo di ricercatori dell’Università Statale di Milano ha scoperto che fare pause mentre si cammina può aumentare notevolmente il dispendio energetico rispetto a farlo in modo continuo.
L’esperimento, pubblicato sulla rivista Proceedings of the Royal Society, ha dimostrato che camminare o salire le scale in brevi sessioni di 10-30 secondi fa consumare energia dal 20 al 60% in più che percorrere la stessa distanza senza pause. Questo significa anche che alzarsi dalla sedia per fare qualche passo ogni tanto o scegliere di prendere le scale può innalzare notevolmente il nostro consumo energetico giornaliero.


Il Dipartimento di Medicina sperimentale alla guida del progetto collaborativo finalizzato alla realizzazione di un database di dati demografici e clinici dei pazienti che sarà reso operativo in una piattaforma digitale implementata da Bluecompanion
L’Unità di ricerca di Scienza dell'alimentazione e nutrizione umana del Dipartimento di Medicina sperimentale, con il coordinamento di Lorenzo Donini ha avviato e sta conducendo un progetto collaborativo con Bluecompanion per lo sviluppo di un registro elettronico (Sarcopenic Obesity e-Registry) per l’obesità sarcopenica, una condizione clinica caratterizzata dalla combinazione di obesità e sarcopenia, ovvero una ridotta massa muscolare scheletrica accompagnata da ridotta funzionalità muscolare.


Dall’invertebrato Botryllus schlosseri nuove risposte per Alzheimer e Parkinson.
Pubblicato su «Brain communications» lo studio congiunto dell’Università di Padova e della Statale di Milano sulle specificità del cervello e sul ciclo di vita di un piccolo animale marino che vive nella Laguna Veneta.
Con l'aumento dell'aspettativa di vita, l'invecchiamento patologico ha acquisito sempre più importanza. Si stima che l'1% delle persone oltre i 60 anni, nei paesi industrializzati, sia affetta dal morbo di Parkinson e si prevede un aumento dai 50 milioni del 2010 ai 113 milioni nel 2050 per le diverse forme di demenza, tra cui l’Alzheimer.
Per capire i meccanismi alla base di queste malattie un aiuto potrebbe arrivare da un piccolo animale marino, l’invertebrato di nome Botryllus schlosseri (botrillo), che risulta essere un perfetto “laboratorio” di studio.

 

Un nuovo studio, frutto della collaborazione tra Sapienza Università di Roma e l’Università di Aarhus in Danimarca, ha adottato un approccio innovativo nell’analisi delle basi neurobiologiche delle abilità musicali e ha dimostrato che le differenze individuali dipendono da connessioni più o meno forti tra le regioni frontali e parietali del cervello aventi un ruolo cruciale nella memoria di lavoro

L’attitudine umana alla musica è un fenomeno affascinante e complesso che ha stimolato l’interesse scientifico per decenni. Nel tentativo di analizzare le basi neurobiologiche delle abilità musicali, molti ricercatori hanno focalizzato l’attenzione sulle differenze individuali nella struttura e nella funzione di specifiche aree cerebrali, come le aree uditive per l'analisi dei suoni. Questo approccio, mirato a correlare variazioni in regioni cerebrali isolate con la diversità delle competenze musicali nelle popolazioni umane, ha tuttavia prodotto risultati insoddisfacenti e difficili da replicare.

Un recente studio, frutto della collaborazione fra il Dipartimento di Neuroscienze umane della Sapienza Università di Roma e il Dipartimento di Medicina clinica dell’Università di Aarhus in Danimarca, pubblicato sulla rivista Nature Communications, ha adottato un approccio innovativo. Anziché concentrarsi su singole aree cerebrali, il team ha esaminato l’organizzazione della connettività tra queste regioni, ossia come le diverse parti del cervello comunicano tra loro


Uno studio dell’Università di Bologna ha sperimentato un "intervento di biodiversità": per quindici giorni, nel contesto di un campo estivo, dieci bambini residenti in aree urbane hanno interagito per circa dieci ore al giorno con i cavalli di una fattoria didattica. Al termine del periodo trascorso in ambiente rurale, il microbiota dei bambini si è arricchito di batteri promotori dalla salute e metaboliti antinfiammatori.


Metti dieci bambini che vivono in città a interagire liberamente per quindici giorni con i cavalli di una fattoria didattica. Il risultato? Migliora la salute del loro microbioma intestinale, aumenta la diversità microbica, emergono nuove componenti probiotiche antinfiammatorie.


Grazie all’osservazione di onde elettroencefalografiche simili a quelle del sonno e rilette tramite moderne tecniche di neuroimaging, un gruppo di ricercatori coordinati dall’Università Statale di Milano suggerisce che parte dei deficit funzionali conseguenti al danno cerebrale strutturale sia dovuto al fatto che zone di corteccia cerebrali adiacenti alla lesione, o connesse ad essa, cadano in uno stato simile al sonno, mentre il paziente è sveglio. Il lavoro, che accoglie le prime evidenze dello studio Nemesis, finanziato da un bando ERC Synergy Grant, è stato pubblicato su Nature Communications e illustra la generazione e i meccanismi neuronali delle alterazioni, suggerendo nuove vie di riabilitazione, attraverso la rimodulazione di onde elettroencefalografiche lente.


Sulla rivista «Nature Communication» la scoperta di un gruppo di ricercatori dell’Università di Padova: il Coenzima Q10 può bloccare le metastasi polmonari in donne affette da tumore al seno triplo negativo.


Il CoQ10 (coenzima Q10), conosciuto da molti per essere uno degli ingredienti di molti prodotti di bellezza, è un metabolita liposolubile che svolge un ruolo chiave nel metabolismo cellulare. Sembra per esempio proteggere contro l’invecchiamento cellulare, grazie alle sue proprietà antiossidanti. Quale possa essere invece la sua eventuale funzione nello sviluppo e la progressione del cancro non era mai stata finora chiarita.



Lo studio del cervello umano da oggi ha uno strumento in più, efficace e dal design innovativo. Si tratta di un nuovo modello 3D di organoide cerebrale, che darà agli scienziati la possibilità di avere uno sguardo più approfondito sullo sviluppo e sui disturbi del cervello specifici dell’uomo, in particolare quelli che hanno radici nelle fasi precoci di sviluppo come l’autismo.

Il nuovo modello è illustrato nello studio “A polarized FGF8 source specifies frontotemporal signatures in spatially oriented cell populations of cortical assembloids” appena pubblicato su Nature Methods, ed è frutto del lavoro congiunto di un gruppo internazionale di ricercatori, guidato dalla dott.ssa Veronica Krenn, titolare della borsa di studio Human Technopole Early Career presso Milano-Bicocca, in collaborazione con il team guidato dal professore Jürgen Knoblich dell’ Istituto di Biotecnologia Molecolare dell’Accademia Austriaca di Scienze (IMBA) di Vienna e il team guidato dal Professor Giuseppe Testa di Human Technopole di Milano.


Un gruppo dell’Istituto di genetica molecolare del Cnr di Pavia ha compreso l’importante ruolo svolto dalla proteina DDX3X nel preservare l’integrità del genoma cellulare. Tale proteina agisce rimuovendo i filamenti di RNA che, se presenti in eccesso, causano instabilità genomica e mutazioni che possono alterare il corretto funzionamento del genoma stesso. I risultati della ricerca sostenuta da Fondazione AIRC, pubblicati sulla rivista Nucleic Acids Research, potrebbero contribuire a nuove strategie per combattere i processi di trasformazione tumorale.

 

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