Gli albori: il Cartello Phoebus
Tutto ha avuto inizio nel 1924 con il cosiddetto Cartello Phoebus, un accordo segreto e senza precedenti tra i giganti dell'industria delle lampadine a incandescenza, tra cui General Electric, Osram, Philips e la Compagnie des Lampes. L'obiettivo era semplice e spregiudicato: standardizzare la vita utile delle lampadine a un massimo di 1.000 ore, anche se la tecnologia del tempo permetteva di produrne che duravano molto di più. Per assicurarsi il rispetto del limite, i membri si imponevano a vicenda pesanti multe in caso di superamento della soglia. Il cartello, in pratica, ha intenzionalmente accorciato la vita di un prodotto per massimizzare il profitto.
A un secolo di distanza, la lampadina Centennial Light a Livermore, in California, accesa quasi ininterrottamente dal 1901, rimane una testimonianza vivente. È in vita da più di 219.000 ore, e sebbene il suo wattaggio sia sceso da 60 a soli 4 watt, il suo filamento continua a brillare, rendendola un simbolo della lotta contro l'obsolescenza programmata.
L'era elettronica: la nascita del sospetto
Con l'avvento dell'elettronica di consumo, l'obsolescenza programmata ha cambiato volto. Non si trattava più solo di un limite fisico, ma di un problema legato alla progettazione e alla connettività. I primi sospetti sono emersi quando è diventato chiaro che i dispositivi venivano progettati in modo da rendere difficile o impossibile la sostituzione di componenti chiave, come le batterie sigillate con colle industriali o i chip di memoria saldati direttamente sulla scheda madre. I produttori hanno iniziato a utilizzare viti e strumenti proprietari, rendendo la riparazione casalinga un'impresa impossibile.
Il dibattito è esploso a livello globale nel 2017 con lo scandalo "batterygate" che ha coinvolto Apple. L'azienda ha ammesso di aver intenzionalmente rallentato le prestazioni dei vecchi modelli di iPhone tramite aggiornamenti software, una scelta giustificata per evitare spegnimenti improvvisi dovuti a batterie usurate. Sebbene la motivazione fosse tecnica, l'assenza di un'informazione trasparente ai consumatori ha scatenato un'ondata di indignazione e ha portato a numerose cause legali e a sanzioni da parte delle autorità Antitrust, inclusa quella italiana. Il caso ha messo in luce una verità scomoda: il software e i microchip, lavorando in tandem, possono essere usati per controllare il ciclo di vita di un prodotto e costringere i consumatori all'acquisto di un nuovo modello.
L'ossimoro del progresso: le lampadine a LED
Un caso emblematico di questa nuova forma di obsolescenza si trova proprio nelle lampadine a LED. Sebbene la tecnologia del diodo stesso prometta una vita utile di decenni, i prodotti finali spesso durano solo pochi anni. Il punto debole non è il LED, ma il driver, ovvero il circuito elettronico che regola la corrente. Per contenere i costi e competere sul mercato, molti produttori scelgono di installare driver di scarsa qualità. Questi componenti, progettati al risparmio, si surriscaldano e si guastano molto prima del diodo. Questa strategia, sebbene non sia una "programmazione" esplicita, agisce come una forma di obsolescenza programmata nascosta, rendendo un prodotto potenzialmente immortale un oggetto usa e getta e spingendo i consumatori a una nuova spesa.
La risposta: il movimento "diritto alla riparazione"
Oggi, l'obsolescenza programmata è un fenomeno onnipresente e sempre più complesso, alimentando un forte movimento in difesa del "diritto alla riparazione" (right to repair). Questo movimento, composto da consumatori, riparatori indipendenti e attivisti, chiede che i produttori siano obbligati a rendere disponibili manuali di riparazione, ricambi originali e strumenti diagnostici a prezzi accessibili.
Le iniziative legislative si stanno moltiplicando in tutto il mondo, in particolare negli Stati Uniti e nell'Unione Europea, dove sono state approvate o sono in corso di approvazione normative che mirano a contrastare l'obsolescenza programmata. La battaglia per la riparabilità non è solo economica, ma anche ambientale, dato che i rifiuti elettronici rappresentano una delle minacce più significative per il pianeta.
La lotta continua, con l'obiettivo di creare un'economia più sostenibile e dare ai consumatori il potere di scegliere di riparare, anziché sostituire.
*Board Member, SRSN (Roman Society of Natural Science)
Past Editor-in-Chief Italian Journal of Dermosurgery