Tra El Grinta e il vero Grinta

Margherita Lamesta 22 Feb 2011

 

True Grit, in italiano El Grinta è il western dei fratelli Ethan e Joel Coen, film d’apertura dello scorso Festival di Berlino. Si tratta del remake dell’omonimo lavoro di Henry Hathaway, che nel ’69 valse l’unico Oscar vinto da John Wayne. Tratto dall’omonima nonfiction novel di Charles Portis, un genere letterario inventato da Truman Capote che intreccia cronaca e romanzo, la pellicola dei due fratelli, partendo dal western, rimanda a molti altri generi.

I due registi ebrei raccontano una storia d'amore, spirituale e platonica ma coinvolgente ed appassionante dentro una storia di violenza nei confronti dei più deboli. Protagonisti sono il coraggio e la vendetta, personificati nella piccola Mattie Ross, interpretata dall’emergente Hailee Steinfeld, la cui performance rivela un talento naturale talmente spiccato, da meritare un candidatura agli Oscar come attrice non protagonista. Il film è un lungo flashback dentro e con gli occhi di Mattie, adolescente divenuta donna anzitempo perché attanagliata dal dovere e dalla necessità, costretta a fronteggiare i meandri più crudi della vita, vissuti sulla pelle a soli 14 anni. Infatti, “non ha mai avuto tempo da perdere per un matrimonio” – dichiara una Mattie divenuta donna nel finale - anche a costo di passare per una vecchia zitella a soli quarant’anni.

 

Siamo nel 1870, nell’America di frontiera subito dopo la Guerra Civile. Mattie assolda un vecchio sceriffo, Rooster Cogburn (Jeff Bridges), orbo e stordito dall’alcool, per dare la caccia a Tom Chaney (Josh Brolin), che ha ucciso suo padre per due pezzi d’oro - i trenta denari di Giuda? - fuggendo poi in quella terra di nessuno che è il territorio indiano. Ai due si aggrega anche un ranger del Texas, LaBoeuf (Matt Damon), a sua volta intenzionato ad arrestare il fuggiasco, per l’uccisione di un senatore.

Il film dei due cineasti di Minneapolis sembra trascendere il suo confezionamento western - formalmente perfetto nell’assemblare citazioni colte del genere, a partire da quelle musicali - per rilanciare una riflessione sul concetto di giustizia. infatti, lo spettatore viene messo di fronte a tre livelli della giustizia:

1- un funzionario della legge, lo sceriffo Rooster Cogburn, detto El Grinta, presentato come un mercenario. L’uomo dal grilletto facile, infatti, accetta di acciuffare il bandito solo perché pagato, almeno inizialmente.

2- Un ranger texano, alter ego della legalità rispetto a Cogburn e apparentemente in contrasto col primo. Interpretato da un Matt Damon dall’aria svagata, questo personaggio, impacciato e un po’ridicolo, sembra rimandare all’inutilità delle istituzioni in un luogo senza legge. Anch’egli sulle tracce del bandito per riscuotere i soldi della taglia.

3- In cima al podio, c’è Mattie – il titolo inglese “Vero Grinta” si riferisce a lei? – Mattie che agisce per principio, simboleggiando quell’immagine dell’America indomita, che non intende piegarsi alle avversità. Mattie è animata da una forza di volontà e da una rettitudine morale che traspaiono chiaramente da una ferrea educazione religiosa (“Niente è gratuito tranne la Grazia di Dio”) e dunque incarna il livello più puro della giustizia, lontano anni luce dallo sporco Dio denaro. La ragazza rappresenta anche quell’individualismo che interpreta lo spirito più autentico del genere western e l’etica che

lo alimenta, quell’etica simbolicamente ritratta nel pioniere col fucile in una mano e la Bibbia nell’altra.

Nella competizione tra i due uomini di legge, è sempre Mattie l’ago della bilancia – esilarante è la scena del colpo al bersaglio giocata dai due. Per quasi tutto il film, i due uomini sembrano gareggiare, sbruffoni e infantili, proprio come fanno i pretendenti di fronte alla femmina ma alla fine dei conti, benché intraprendano la corsa al reo spinti dal denaro, riveleranno in seguito una profondità e uno spirito di squadra, inizialmente del tutto imprevisti.

 

 

Il viaggio immaginifico elaborato dai due autori, accanto a una denuncia dei vari modi d’intendere la giustizia, non risparmiano una sferzata contro l’acerrima discriminazione tra diverse etnie. Se a dire la sua è un indiano, questo non è consentito. Il pellerossa, merce di scambio venduta come fosse un ammasso di pezzi di ricambio, rivive il suo riscatto nelle trecce da squò di Mattie? La mamma di Mattie, che non sa leggere né scrivere né fare i conti ed è solo nominata nella pellicola, viene dai raffinati registi nascosta perché indiana? È, dunque, Mattie stessa un’indiana?

Quel che è esplicito è l’animo valoroso dell’adolescente, che attraverso la sua propria ragione, agendo con spirito di vendetta (“occhio per occhio, dente per dente”?)sembra dar voce simbolicamente a un intero popolo battagliero e nobile. Il cavallo della ragazza è chiamato da lei “Tutto matto”. Chiaro è dunque il richiamo a Cavallo Pazzo - Crazy Horse, il leggendario Capo Sioux, incubo dei bianchi e uomo-simbolo dell’orgoglio indiano.

Ecco che partendo dal proverbio d’inizio film - “L’empio fugge anche quando nessuno l’insegue” - i fratelli Coen ci rimandano ad una profonda riflessione sull'essere umano e sul suo destino.

 

 

Margherita Lamesta

Ultima modifica il Martedì, 06 Marzo 2012 14:19
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