Fino agli inizi del ventesimo secolo, chiunque desiderasse sapere qualcosa sul tempo non doveva far altro che rivolgere le sue domande ai filosofi, che di quell’argomento stavano discutendo da secoli, o ai primi incerti psicologi ancora molto intrisi di neurologia, che stavano provando a infilare quel parametro entro i loro (spesso errati) modelli di funzionamento del pensiero ritenendoli paralleli a quelli dell’attività nervosa del cervello. Nel 1905 improvvisamente le cose cambiarono, anche se il mondo, compreso quello scientifico, se ne sarebbe accorto soltanto diverso tempo dopo: quell’anno un semi-sconosciuto impiegato all’Ufficio Brevetti di Berna pubblicò un articolo destinato a rivoluzionare lo sviluppo della fisica. Oggi tutti sanno che quell’impiegato si chiamava Albert Einstein, personaggio che non ha certo bisogno di presentazioni, e che quella sua pubblicazione riguardava la “relatività speciale”, che di presentazione ha invece ancora bisogno, perché non essendo insegnata ubiquitariamente nelle scuole rappresenta per molti italiani una sorta di “buco nero” nel terreno della conoscenza.

 

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