Nuovo meccanismo molecolare contro la degenerazione muscolare
Immagini di immunofluorescenze di: un muscolo in rigenerazione (sinistra), di cellule adipose derivate dalle FAP in condizioni di controllo (centro) e di cellule muscolari derivate dalle FAP dopo inibizione di G9a/GLP (destra)
Uno studio dell’Istituto di biologia e patologia molecolari del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ibpm) rivela come cambiare l’identità di una popolazione di cellule muscolari possa promuovere la rigenerazione dei muscoli distrofici. La ricerca, pubblicata su Science Advances, potrebbe portare a un approccio farmacologico per alcune patologie come la distrofia muscolare di Duchenne.
Le cellule oggetto dello studio condotto dall’Istituto di biologia e patologia molecolari del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ibpm) sono le progenitrici fibro-adipogeniche, note con l’acronimo FAP, e rappresentano l’arma a doppio taglio del muscolo scheletrico. Queste cellule, infatti, in condizioni fisiologiche rilasciano dei fattori che aiutano le cellule staminali muscolari alla rigenerazione del muscolo. Nel corso della degenerazione che si verifica nei tessuti affetti da distrofia muscolare di Duchenne invece, le FAP danno origine all’infiltrato adiposo e fibrotico che rimpiazza progressivamente il tessuto muscolare, rendendolo meno funzionale. La ricerca portata avanti dal gruppo di Chiara Mozzetta insieme alle biologhe Beatrice Biferali e Valeria Bianconi, prime autrici del lavoro, è stato pubblicato su Science Advances e realizzata col sostegno del programma Scientific Independence of young Researchers (SIR) del Ministero dell’istruzione, università e ricerca (Miur) e dell’AFM-Telethon.
Per diagnosticare (e curare) un tumore potremmo cominciare ad “ascoltarlo”
Un gruppo di ricerca coordinato da studiosi dell’Università di Bologna ha messo a punto un sistema innovativo che, sfruttando l’effetto fotoacustico, potrebbe permettere non solo di identificare con maggiore precisione le cellule tumorali, ma anche di guidarne l’eliminazione.
Sfruttare l’effetto fotoacustico, che permette di trasformare l’energia luminosa in onde sonore, per identificare e colpire selettivamente le cellule tumorali. È la soluzione proposta da un gruppo di ricerca guidato da studiosi dell’Università di Bologna. I risultati dello studio, pubblicati sulla rivista Advanced Functional Materials, mostrano come si potrebbe utilizzare una particolare molecola a base di carbonio, chiamata “fullerene”, per creare uno strumento utile sia alla diagnosi sia alla terapia dei tumori. “Il fullerene è in grado di incrementare le potenzialità diagnostiche della microscopia fotoacustica, aumentandone in modo significativo la risoluzione spaziale, e questo sia che si stia guardando all’intero organo sia che l’osservazione riguardi un livello sub-cellulare”, spiega Matteo Calvaresi, professore al Dipartimento di Chimica “Giacomo Ciamican”, che ha coordinato la ricerca. “Questo studio apre quindi alla possibilità di un impiego dell'effetto fotoacustico nella diagnostica medica che permetta di rilevare singole cellule tumorali attraverso nuovi mezzi di contrasto”.