Conferenza di Nagoya: un successo o un’occasione persa?

Proteggere almeno il 17% delle aree verdi e il 10% degli oceani entro il 2020. Questo l‘impegno assunto dalla decima Conferenza delle Parti della Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD) tenuta a Nagoya, dal 18 al 29 ottobre 2010.
I rappresentanti dei 193 paesi firmatari della Convenzione si sono dati appuntamento con le ONG nella città portuale del Giappone orientale, “per rispondere alla sfida senza precedenti della perdita di biodiversità, aggravata dai cambiamenti climatici”, come ha dichiarato Ahmed Djoghlaf, segretario esecutivo della CBD. Adottata nel maggio 1992 a Nairobi in Kenya, la Convenzione sulla Diversità Biologica è stata aperta alla firma delle Parti nel giugno dello stesso anno, durante il Summit Mondiale ONU dei Capi di Stato di Rio de Janeiro.

 

L’Unione Europea ha aderito alla Convenzione con la Decisione del Consiglio 93/626 del 25 maggio 1993. Gli obiettivi che la Convenzione si prefigge riguardano: la conservazione della diversità biologica; l’uso sostenibile delle sue componenti; una equa divisione dei benefici dell’utilizzo di queste risorse, attraverso un giusto accesso alle risorse genetiche ed attraverso il trasferimento delle tecnologie necessarie. Per biodiversità si intende l'insieme di tutte le forme viventi geneticamente dissimili e degli ecosistemi ad esse correlati. Quindi biodiversità implica tutta la variabilità biologica: di geni, specie, habitat ed ecosistemi. Nell’ambito del programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP), la Conferenza delle Parti, organismo che governa la Convenzione alla cui assemblea generale partecipano tutti i paesi firmatari, nel 2002 durante il Summit della Terra tenutosi a Johannesburg, ha dato mandato alle Parti di ridurre significativamente la perdita delle biodiversità entro il 2010. Un impegno che per la sua entità ha dovuto integrarsi con le politiche sociali ed economiche.

Tale obiettivo è stato ribadito dalla Conferenza delle Parti in occasione del Summit di Bonn nel 2008. La Conferenza di Nagoya è stata dunque l’occasione per verificare i risultati del programma per arrestare la riduzione di biodiversità e per stabilire gli obiettivi per il futuro. Inoltre al vertice giapponese è stata discussa la delicata questione dell’accesso e della condivisione dei benefici derivanti dalle risorse genetiche, ossia il cosiddetto Protocollo ABS (Access and Benefit Sharing). Tale Protocollo concerne l’individuazione di criteri di giustizia ed equità affinché le risorse genetiche, siano esse di origine vegetale o animale, risultino accessibili nei paesi d’origine, ed i benefici derivanti dal loro sfruttamento da parte di società private, università ed istituti di ricerca siano condivisi con i paesi e le popolazioni che li rendono disponibili. Tale questione assume un valore decisivo se si considera che molto spesso i paesi ricchi di biodiversità sono paesi in via di sviluppo, che non riescono a fruire dei ritorni economici generati dalle biodiversità. Il fattore temporale di applicazione del Protocollo ABS è stato tra i motivi di maggiore divergenza che sono emersi a Nagoya. La questione è se gli effetti del protocollo vadano attivati anche nei confronti di case farmaceutiche che abbiano iniziato ad utilizzare risorse biologiche prima dell’entrata in vigore del Protocollo. Laurent Somé, del WWF Africa, ha dichiarato che: "Gli africani chiedono un riconoscimento del fatto che, nei decenni, c'è stato un utilizzo delle loro risorse genetiche, come le piante medicinali, senza alcuna condivisione dei benefici". Altro punto chiave della Conferenza di Nagoya è stata l’individuazione di obiettivi da raggiungere entro il 2020. Intensi sono stati i negoziati tra i paesi per stabilire l’estensione delle aree da proteggere.

Secondo studi presentati dall'Onu, il tasso di estinzione delle specie animali e vegetali legato all'eccessivo sfruttamento delle risorse, all'inquinamento e alla modifica degli habitat, sarebbe ormai mille volte superiore rispetto alla media degli anni precedenti. La difficoltà nel raggiungimento di un accordo ha fatto temere che le trattative potessero fallire. Alla fine è però prevalso il senso di responsabilità che ha permesso di raggiungere un accordo che prevede anche l’approvazione del Protocollo ABS. Tale accordo tutela la difesa della vita e dei suoi ecosistemi, includendo per la prima volta le risorse genetiche, stabilendo che entro il 2020 il 17% delle terre emerse e il 10% degli oceani diventino riserve naturali di biodiversità. Inoltre l’accordo dispone che siano presentati programmi per la protezione delle foreste e delle barriere coralline e introduce limiti allo sfruttamento delle risorse genetiche. Infine le Parti dovranno intervenire sulle norme che regolano lo sfruttamento dei mari per favorire lo sviluppo di una pesca sostenibile. Per quanto concerne il finanziamento, il Protocollo prevede che una parte dei profitti venga devoluta alle comunità che detengono le proprietà delle risorse genetiche delle specie viventi utilizzate a scopi medici. Ciò si realizza adottando una nuova procedura che risulti vincolante per le Parti. D’ora in avanti i soggetti interessati allo sfruttamento di una qualsiasi risorsa biologica in un paese straniero avranno l’obbligo di presentare domanda al paese fornitore.

Quest’ultimo, valutate e accolte le richieste di concerto con le comunità locali presso cui la risorsa è disponibile, stipulerà un contratto. In tal modo si garantisce che i benefici economici derivanti dallo sfruttamento delle risorse siano fruibili sia per lo stato ospitante sia per la comunità locale. Sarà dunque avviata una procedura di sorveglianza da parte del paese fornitore. Questi importanti risultati sono stati raggiunti grazie al ruolo assunto dal paese ospitante, il Giappone. Anche il ruolo della Svizzera, vicepresidente della Conferenza, è stato molto incisivo. L’impegno della delegazione elvetica si è manifestato in fase di negoziazione all’interno dei gruppi di contatto da essa stessa presieduti e che hanno influenzato notevolmente le decisioni finali. L’Italia, presente alla Conferenza con il Ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo, si è impegnata a devolvere un contributo di 100 milioni di dollari per la partnership internazionale contro la deforestazione nei paesi in via di Sviluppo. Tuttavia sulla qualità dell’accordo raggiunto non sono mancate opinioni discordanti delle organizzazioni. James Leape, direttore generale di WWF International, ha dichiarato che: “I governi hanno mandato un messaggio forte, la tutela della salute del pianeta ha un posto nella politica internazionale e i paesi sono pronti a unire le forze per salvare la vita sulla Terra”. Ottimista appare anche la sezione italiana del WWF, il cui Presidente Stefano Leoni ha affermato: "Un raggio di responsabilità e di sapienza sembra avere illuminato i delegati raccolti a Nagoya per la Conferenza sulla Convenzione sulla Diversità Biologica”. Diversa l’opinione di altre ONG. “Dichiarazione di Berna” e “Pro Natura” criticano il testo dell’accordo perché tradisce l’obiettivo stabilito prima dell’inizio della Conferenza, ossia la protezione del 25% della superficie totale del Pianeta entro il 2020.


Il risultato raggiunto a Nagoya può essere valutato in modo differente. Se considerato in relazione alle aspettative che hanno preceduto l’apertura dei lavori o alle necessità di un pianeta da molti studi dipinto come prossimo al collasso, è un’occasione persa. Ma può essere motivo di ottimismo se lo si inquadra in una fase di forte crisi economica ed in relazione al rischio concreto che la Conferenza ha visto di non raggiungere alcun accordo. Ad ogni modo prima di tutto sarà opportuno attendere le ratifiche da parte degli stati membri della Convenzione. Poi bisognerà testare l’efficacia della nuova procedura di fruizione dei benefici destinati ai paesi fornitori delle risorse biologiche. Solo allora saremo in grado di valutare i risultati della Conferenza di Nagoya. Tuttavia il Summit del Giappone ha dimostrato che la tutela della biodiversità è un tema su cui la comunità internazionale può confrontarsi e coinvolgere la società civile internazionale. E’ una questione, quella della tutela dell’ambiente, cui sono legati molti temi concernenti i diritti umani; un tema ed un problema che rappresenta un banco di prova ed un incipit per risolvere altre situazioni causa dell’instabilità della comunità internazionale e per aprire un dibattito tra paesi e culture differenti, che parta dalla salvaguardia di un bene comune: il Pianeta.

Fabrizio Giangrande

Ultima modifica il Mercoledì, 09 Settembre 2009 10:26
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