“Il progetto si è incentrato sullo studio combinato della composizione chimica e dei meccanismi di degradazione fisico-meccanica che si manifestano in opere d'arte moderna e contemporanea - afferma Laura Fuster-Lopez - Dato che non tutte le problematiche hanno una causa comune, e dato che le nostre opere d'arte continuano a deteriorarsi silenziosamente anche in condizioni di conservazione ed esposizione controllate, è necessario capire quali aspetti inerenti alla composizione dei materiali usati dagli artisti possono essere la causa della loro instabilità nel tempo, al fine di adattare misure preventive di conservazione nelle nostre collezioni”.
Le quattro opere del 1917 di Picasso si sono quindi rivelate il banco di prova perfetto per iniziare ad indagare la correlazione tra i materiali pittorici usati dall’artista e le loro condizioni reali. Con un approccio multi-analitico e tecnologia d’avanguardia, le scienziate hanno studiato ogni strato per trarne le informazioni nascoste alla vista.
Hanno così realizzato il primo studio che considera le problematiche di degrado meccanico dei dipinti di Picasso con un approccio scientifico analitico e diagnostico.“Le analisi svolte - spiega Francesca Izzo - mettono in luce che Picasso ha dipinto con colori ad olio, contenenti sia il tradizionale olio di lino, sia oli meno siccativi come l’olio di cartamo e di girasole. In un caso, poi, ipotizziamo che l’artista abbia sperimentato l’uso, non ancora in voga nel 1917, di pitture semi-sintetiche. Le tele utilizzate dall’artista sono di cotone, su cui Picasso ha steso due diversi strati di preparazione: uno ottenuto con colla animale, l'altro invece con olio siccativo. In entrambi i casi mescolati con pigmenti diversi (biacca, barite, ossido di zinco, etc). Inoltre, è interessante notare la presenza dei cosiddetti ‘saponi metallici’, composti che si formano per interazione tra il legante e alcuni ioni rilasciati dai pigmenti che possono provocare danni ben visibili, sia a livello estetico che a livello di stabilità chimica e meccanica”.
I risultati ottenuti sono stati combinati con l'esame visivo delle crettature e dei problemi meccanici delle pitture per stabilire ipotesi sulle differenze di degrado. Questa è una delle prime volte che viene adottato un approccio basato su tecniche di documentazione non invasive, analisi chimico-fisiche e osservazioni del danno meccanico per fornire una visione del possibile contributo che ogni strato ha sul degrado osservato.
Ne è emerso che le interazioni fra pigmenti e leganti possono aver reso i film pittorici più o meno inclini alla degradazione. Lo stesso è stato osservato negli strati sotto la pellicola pittorica: spessori di preparazione diversi, diverse interazioni pigmenti-legante e altre minime differenze che possono aver provocato una diversa reazione alle condizioni ambientali.
Lo studio approfondito del caso ha sollevato nuovi interrogativi e spunti per nuove ricerche. Le scienziate stanno cercando di scoprire il ruolo della possibile ‘migrazione’ di materiali tra gli strati di pittura e di preparazione.
Con i nuovi risultati scientifici a disposizione, Reyes Jiménez de Garnica, direttrice del Dipartimento di Conservazione Preventiva e Restauro del Museu Picasso di Barcellona, potrà affinare le strategie di conservazione preventiva e valutazione delle condizioni di conservazione (in particolare del ruolo dell’umidità) ed esposizione delle opere.
Oltre all'Universidad Politecnica de Valencia, Ca’ Foscari e il Museu Picasso, hanno lavorato al progetto anche il CNR-Istituto Fisica Applicata "Nello Carrara", la Escuela de Conservación y Restauración de Bienes Culturales de Aragón, The Royal Danish Academy of Fine Arts e Queen’s University (Canada). Il team internazionale continuerà la collaborazione con il Museu Picasso nello studio di alcuni capolavori dell’artista spagnolo.