Per chiarire le alterazioni connesse all’invecchiamento rispetto a quelle connesse alla patologia, uno studio molecolare (cosiddetto “omico” perché basato su analisi di trascrittomica, proteomica e metabolomica, anche di tipo chirale) è stato effettuato da un team di ricerca costituito da Gabriella Tedeschi, docente di Biochimica dell’Università degli Studi di Milano, il professor Loredano Pollegioni responsabile del laboratorio The Protein Factory 2.0 dell’Università dell’Insubria, la professoressa Paola Coccetti dell’Università di Milano-Bicocca e la dottoressa Nadia Canu, docente dell’Università di Roma Tor Vergata, sotto la supervisione del professor Loredano Pollegioni. Il lavoro, pubblicato sulla rivista Cell Reports, ha analizzato campioni post mortem di ipotalamo da cervelli di uomini e donne con un invecchiamento normale e da pazienti affetti dal morbo di Alzheimer. Le analisi hanno evidenziato profonde differenze in termini di vie metaboliche alterate tra i controlli sani e le coorti maschili e femminili dei pazienti. In particolare, una diminuzione della risposta insulinica è evidentenella sindrome di Alzheimer confrontando le donne con i maschi.
Inoltre, il metabolismo dell’aminoacido serina (che genera un importante neuromodulatore, la D-serina) è significativamente modulato: negli uomini, durante un normale invecchiamento, il rapporto D-Ser/serina totale rappresenta una strategia per contrastare il declino cognitivo legato all'età, mentre nelle donne tale valore è modificato solo durante l'insorgenza della malattia di Alzheimer. Ciò è di particolare interesse in quanto la D-serina modula la neurotrasmissione dovuta ai recettori NMDA e poiché il suo livello nel sangue è stato recentemente proposto come biomarcatore precoce di tale patologia.
“Questi risultati”, spiega Elisa Maffioli, ricercatrice di Biochimica della Statale di Milano e prima autrice del paper, “mostrano come la malattia di Alzheimer cambia e, per certi aspetti, inverte alcuni aspetti della mappa proteomica e dei profili metabolomici nei due sessi, evidenziando così come diversi meccanismi fisiopatologici siano attivi o meno in base al sesso e aprendo alla possibilità di intervenire con innovativi approcci terapeutici differenziati tra uomini e donne”, conclude Maffioli.