Danni cardiaci, come quelli causati da un infarto miocardico, da infezioni o da alcune terapie antitumorali, provocano la perdita significativa di cellule muscolari cardiache, che vengono sostituite dal tessuto cicatriziale fibrotico. A causa della capacità rigenerativa estremamente limitata del cuore, questa condizione spesso
porta a insufficienza cardiaca. Sappiamo però che fino al momento della nascita i mammiferi sono in grado di rigenerare il cuore, anche in seguito a danni severi. Solo nel periodo successivo alla nascita le cellule muscolari cardiache, i cardiomiociti, si specializzano per consentire l’adattamento alla vita extrauterina, perdendo definitivamente la capacità di rigenerarsi.
Per individuare una strategia che possa spingere le cellule muscolari cardiache a riacquisire questa capacità rigenerativa, gli studiosi hanno allora cercato di identificare fattori di crescita la cui produzione viene ridotta o spenta nell’immediato periodo postnatale.
"Abbiamo ipotizzato che la perdita della capacità rigenerativa nell’immediato periodo postnatale fosse almeno in parte conseguente ad una diminuita produzione di fattori
di crescita", spiega Gabriele Matteo D'Uva, professore al Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche dell’Università di Bologna che ha coordinato lo studio. "In
modelli preclinici di mammifero, abbiamo osservato che i livelli cardiaci di espressione di vari fattori di crescita diminuiscono rapidamente dopo la nascita, parallelamente alla perdita della capacità rigenerativa dei cardiomiociti".
A partire da questa osservazione e a seguito di una serie di studi su cardiomiociti neonatali, i ricercatori hanno quindi scoperto che alcuni di questi fattori di crescita sono in grado di promuovere la proliferazione dei cardiomiociti. "In particolare, BMP7, un membro della famiglia delle proteine morfogenetiche ossee, chiamate appunto BMP, ha mostrato gli effetti più significativi nel promuovere la proliferazione delle cellule muscolari cardiache in fase neonatale", aggiunge Chiara Bongiovanni, dottoranda in Scienze Chirurgiche e Tecnologie Innovative dell’Università di Bologna e prima firma dello studio.
Un'ulteriore conferma arriva anche dal pesce zebra: un modello animale dotato di spontanea capacità nel rigenerare il cuore in seguito a danni. Anche in questo caso, infatti, l'inibizione di BMP7 ha ridotto la rigenerazione dei cardiomiociti in seguito a danno cardiaco, mentre la sua induzione ha velocizzato il processo di rigenerazione.
Lo studio ha poi valutato se la somministrazione di BMP7 in modelli preclinici di mammifero (topi) fosse in grado di spingere la proliferazione dei cardiomiociti anche in fasi successive della vita, quando i cardiomiociti sono più refrattari a rientrare nel ciclo e proliferare.
"I saggi effettuati hanno dimostrato che il trattamento con BMP7 è in grado di stimolare la proliferazione dei cardiomiociti anche in fase adulta, e ancor più efficacemente in seguito ad infarto miocardico", aggiunge D’Uva. "Questi risultati suggeriscono che la somministrazione di questo fattore possa rappresentare una nuova strategia terapeutica per promuovere la rigenerazione del cuore: se validato sull’uomo, potrebbe avere un impatto significativo sul trattamento delle malattie cardiache, una delle principali cause di morbilità e mortalità in tutto il mondo".
Il team di ricerca che ha realizzato lo studio si sta ora concentrando sulla sperimentazione di combinazioni sinergiche con altri stimoli con l'obiettivo di sviluppare strategie ancora più efficaci per la rigenerazione tissutale e d’organo.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Cell Reports con il titolo “BMP7 promotes cardiomyocyte regeneration in zebrafish and adult mice”. La ricerca è stata coordinata da Gabriele D’Uva, professore al Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche dell’Università di Bologna con attività di ricerca presso IRCCS Sant’Orsola. Un contributo significativo è stato fornito dalla ricercatrice Chiara Bongiovanni. Per l'Università di Bologna hanno inoltre collaborato al progetto anche i gruppi guidati dalla prof.ssa Mattia Lauriola e dal prof. Carlo Ventura, sempre del Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche. Altre analisi sono state condotte in collaborazione con i gruppi di ricerca coordinati dai professori Eldad Tzahor (Weizmann Institute of Science, Israele), Gilbert Weidinger (Università di Ulm, Germania) e Stephan Heermann (Università di Friburgo, Germania).