IL SINCROTRONE AIUTA A COMPRENDERE COME USARE LE NANOPARTICELLE PER BONIFICARE LE FALDE INQUINATE

Politecnico di Torino 05 Giu 2020


L’uso di nanoparticelle reattive per la bonifica di falde contaminate – detta nanoremediation - è una tecnica di bonifica all’avanguardia, che prevede l’iniezione del nanomateriale, in forma di sospensione acquosa, direttamente nella zona contaminata da trattare per eliminare solventi e altri agenti contaminanti.

L’osservazione alla scala microscopica delle interazioni tra nanomateriali e solventi alla sorgente di contaminazione è al centro di un articolo pubblicato sulla rivista scientifica americana Proceedings of the National Academy of Sciences, organo ufficiale della United States National Academy of Sciences, frutto della collaborazione tra Teesside University (Regno Unito), Universidade Federal do Paraná (Brasile), Brazilian Center for Research in Energy and Materials (Brasile) e Politecnico di Torino. Per l’Ateneo ha contribuito allo studio la professoressa Tiziana Tosco, docentedel Dipartimento di Ingegneria dell’Ambiente, del Territorio e delle Infrastrutture nel gruppo di ricerca di Ingegneria degli Acquiferi (www.polito.it/groundwater), che svolge da anni attività di ricerca e trasferimento tecnologico nel campo della nanoremediation.

Questa tecnica mostra ottimi risultati per il trattamento di un ampio spettro di composti, e in particolare per i solventi, una delle classi di contaminanti più di frequente riscontate nelle acque sotterranee: soltanto in Piemonte, in un sito contaminato su tre. La contaminazione da solventi risulta particolarmente complessa da rimuovere: questi composti, poco solubili e non miscibili con l’acqua, quando vengono sversati nel sottosuolo rimangono “intrappolati” all’interno dei pori della falda, dando origine ad una zona sorgente che rilascia lentamente una piccola frazione del solvente.

Il rilascio può perdurare anche per decine di anni, dando origine a una zona contaminata anche molto estesa - il cosiddetto plume. Spesso gli interventi di bonifica agiscono trattando l’acqua contaminata del plume e non la sorgente: si tratta quindi di interventi rivolti principalmente al contenimento della propagazione dell’inquinante che non portano a una definitiva risoluzione della problematica ambientale. Per contro, una tecnica di bonifica che sia in grado di trattare e rimuovere efficacemente la sorgente della contaminazione, e non solo la frazione disciolta, consente un trattamento più rapido ed efficace e un recupero del sito più efficiente.

Nel caso di contaminazione da solventi, la nanoremediation è più di frequente usata per il trattamento del plume, ma può dare ottimi risultati anche per il trattamento della sorgente stessa. Quest’ultima applicazione è tuttavia ancora poco utilizzata e non sono del tutto chiari i meccanismi di interazione tra nanoparticelle e contaminante. Quella tra le particelle e il solvente è una reazione di riduzione chimica e avviene in fase acquosa e non è chiaro se il solvente puro presente nella zona sorgente possa interferire con questa reazione, limitando l’efficacia della nanoremediation.

La pubblicazione mostra i primi risultati di uno studio basato sull’utilizzo della microtomografia a raggi X per monitorare in tempo reale, con un imaging 4-D, l’interazione tra le nanoparticelle e il solvente, in condizioni simili a quelle riscontrabili in prossimità della sorgente della contaminazione. La degradazione dei solventi a contatto con le nanoparticelle reattive viene di norma monitorata a scala macroscopica, analizzando ad esempio la progressiva formazione di prodotti di degradazione - tipicamente, dei gas - ma fino ad oggi il processo non era mai stato osservato direttamente a scala micrometrica, visualizzando le diverse fasi in gioco - solvente, nanoparticelle disperse in acqua, gas - all’interno dei singoli pori.

Il test è stato condotto realizzando un cilindro riempito di sabbia e saturato in acqua, che simula la falda, dove è stato iniettato prima il solvente, per simulare la contaminazione della zona sorgente, e successivamente una sospensione concentrata di nanoparticelle di ferro zerovalente. Le diverse fasi di iniezione e la successiva reazione delle particelle di ferro a contatto con il solvente residuo rimasto intrappolato all’interno dei pori della sabbia sono state seguite in tempo reale con una sequenza di microtomografie. Le immagini tridimensionali di una porzione del cilindro, ottenute con risoluzione micrometrica, hanno consentito di visualizzare lo spiazzamento dell’acqua da parte del sovente e la successiva iniezione delle particelle. Quindi, durante il monitoraggio della reazione, si è osservata la formazione di gas costituito dai prodotti della degradazione del solvente a contatto con il ferro, la progressiva dissoluzione di alcune gocce di solvente e la mobilizzazione di altre ad opera del gas.

La progressiva scomparsa di parte del solvente conferma che le nanoparticelle sono in grado di degradare il solvente anche in presenza dello stesso in fase segregata, anche se la reazione sembra avvenire sempre in fase acquosa; questo conferma che, a scala reale, le nanoparticelle ferrose possono essere impiegate efficacemente anche nella zona sorgente, e non solo per il trattamento del plume. Inoltre l’osservazione che il gas rilasciato nella reazione di riduzione possa mobilizzare il solvente puro residuo suggerisce che questo processo possa essere sfruttato per velocizzare e rendere più efficace il trattamento di rimozione dei contaminanti dalla zona sorgente.

L’osservazione diretta, per la prima volta, di entrambi i fenomeni e le conseguenti implicazioni pratiche costituiscono il contributo innovativo principale dell’articolo.

Il progetto è stato finanziato con fondi del Regno Unito e del Brasile. La fase di test si è svolta presso il Laboratório Nacional de Luz Síncrotron, il Sincrotrone del Centro di Ricerche su Energia e Materiali dell’Universidade Estadual de Campinas, a San Paolo in Brasile.

“I risultati di questo studio, benché relativi a una scala molto ridotta e ottenuti in condizioni di laboratorio controllate, aprono nuove prospettive per l’applicazione della nanoremediation anche alle sorgenti di contaminazione – dichiara la professoressa Tiziana Tosco - contribuendo in prospettiva allo sviluppo di una tecnologia efficace e affidabile per la bonifica in tempi rapidi di siti pesantemente contaminati.”

 

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