IL CITOMEGALOVIRUS
Il citomegalovirus è un microrganismo patogeno estremamente diffuso. In Italia infetta circa il 90% della popolazione adulta. Una volta contratto, rimane latente nell’organismo per tutta la vita: un buon sistema immunitario lo tiene sotto controllo, ma nelle persone immunodepresse (sottoposte a chemioterapia, affette da HIV o che hanno ricevuto farmaci immunosoppressori per un trapianto d’organo o di midollo), il virus può riattivarsi causando gravi infezioni e danni possibili a polmoni, fegato, esofago, stomaco, intestino, occhi e sistema nervoso centrale. Una struttura proteica del citomegalovirus, quasi identica a quella delle cellule del nostro corpo (proteine self, cioè proprie), lo nasconde alle armi del sistema immunitario. In particolare lo sottrae all’azione dei ‘normali’ linfociti T, programmati per intercettare e colpire solo ciò che viene riconosciuto come estraneo (proteine non self). La ricerca ha però dimostrato che il travestimento ‘self’ di questo virus non sfugge ai sensori dei linfociti T killer.
LO STUDIO
La particolare popolazione di linfociti T killer - già identificata in precedenti studi dagli stessi ricercatori italiani che hanno contribuito alla ricerca pubblicata su Science Immunology - oltre ad avere il sensore TCR (T-cell receptor che riconosce le proteine estranee ed è presente su tutti i linfociti T) sono dotati anche di altri recettori, uguali a quelli delle cellule Natural Killer (NK). I ricercatori del Bambino Gesù e delle Università di Genova e Melbourne hanno ora scoperto che questi sensori aggiuntivi sono in grado di intercettare le cellule infettate da citomegalovirus e di eliminarle, bloccando così l’infezione. Se il virus si mimetizza e non è riconoscibile la sua struttura proteica, lo speciale equipaggiamento di recettori dei linfociti T killer riesce a captare altri segnali di allarme, come le proteine “da stress” prodotte dalle cellule infettate o che hanno subìto una trasformazione tumorale.Lo studio dei meccanismi molecolari sfruttati dai linfociti T killer contro il citomegalovirus è stato condotto dai ricercatori dell’Area di Immunologia del Bambino Gesù diretta dal prof. Lorenzo Moretta, del Laboratorio di Immunologia del Dipartimento di Medicina Sperimentale dell’Università di Genova e dell’IRCCS San Martino diretto dalla prof. Maria Cristina Mingari, con la collaborazione dell’Università di Melbourne.
«L’indizio che ha ispirato la ricerca è stata proprio la presenza sulla superficie di questi particolari linfociti, oltre al canonico TCR, di recettori tipici delle cellule NK, da noi scoperti molti anni fa» afferma la prof. Maria Cristina Mingari, direttore del laboratorio di Immunologia dell’IRCCS San Martino di Genova. «Questi sono veri e propri sensori che danno un potente segnale di attivazione ai linfociti T killer se riconoscono proteine espresse sulla superficie di cellule infettate da virus, o tumori, ma assenti sulle cellule sane. Infatti, in molti casi, le cellule del nostro organismo reagiscono ad un evento avverso, come un’infezione da virus o una trasformazione tumorale, esponendo sulla loro superficie proteine particolari per informare del pericolo il sistema immunitario». «Il nostro studio - aggiunge la prof. Gabriella Pietra dell’Università di Genova - ha fornito un esempio ulteriore della strategia messa in atto dal nostro sistema immunitario per non soccombere ai virus ed eludere i loro inganni. In questo caso, sfrutta queste truppe speciali di linfociti T killer. Questi, non potendo contare sul riconoscimento del citomegalovirus tramite il TCR, che non riconosce le proteine del citomegalovirus simili al “self”, si sono dotati di armi - i recettori - proprie delle cellule NK, garantendo comunque una difesa efficace, anche in collaborazione con le cellule Natural Killer».
LE PROSPETTIVE TERAPEUTICHE
«La caratteristica peculiare della popolazione di cellule T killer può aprire la strada a nuove strategie terapeutiche in grado di sfruttarle al meglio, rafforzandole o inducendone una estesa proliferazione nei pazienti con gravi infezioni virali, incluso il COVID-19, o con tumore» spiega il prof. Lorenzo Moretta, responsabile dell’Area di Ricerca di Immunologia del Bambino Gesù. «È possibile anche ipotizzarne un utilizzo “preventivo” per evitare la riattivazione del citomegalovirus che avviene in circa il 30% dei casi di pazienti immunodepressi, ad esempio in seguito a trapianto di midollo per la cura di gravi leucemie. Va poi detto che questa “terapia cellulare” potrà essere utilizzata in combinazione con altre terapie, ad esempio l’immunoterapia con inibitori di checkpoint, aumentandone l’efficacia». La scoperta del meccanismo con cui le cellule T killer riescono a riconoscere le cellule infettate da citomegalovirus nonostante siano “mascherate” da cellule sane, offre indizi molto importanti anche per l’immunoterapia dei tumori. Infatti, la struttura proteica (antigenica) delle cellule tumorali è molto simile a quella delle cellule normali. Quindi lo scenario è del tutto simile a quello del citomegalovirus. Pertanto, se non è possibile il riconoscimento e l’uccisione delle cellule tumorali tramite il sensore TCR, questo può avvenire grazie all’aiuto dei recettori NK.