L'attività cerebrale a riposo dei bambini cambia in base al sesso

Università di Padova 22 Ott 2024


Ricerca dell’Università di Padova, in collaborazione con IRCCS “E. Medea” di Conegliano e Università di Cambridge, scopre relazione tra il funzionamento neurale in condizioni di riposo e il funzionamento cognitivo quotidiano in bambini di età prescolare.
L’attività cerebrale dei bambini a riposo cambia in base al sesso biologico e all’età? È possibile prevedere eventuali problemi comportamentali, emotivi o legati alle funzioni esecutive attraverso questa attività?
La risposta arriva dalla ricerca dal titolo Dynamic transient brain states in preschoolers mirror parental report of behavior and emotion regulation, pubblicata sulla rivista «Human Brain Mapping», guidata da Lisa Toffoli e Giovanni Mento del Dipartimento di Psicologia Generale dall’Università di Padova in collaborazione con Gian Marco Duma dell’IRCCS “E. Medea” di Conegliano e Duncan Astle dell’Università di Cambridge.

La ricerca dimostra che esiste una relazione tra il funzionamento neurale in condizioni di riposo (chiamato resting state, stato in cui il cervello non è impegnato in attività cognitive attive o compiti specifici) e il funzionamento cognitivo quotidiano in bambini di età prescolare (4-6 anni). I ricercatori hanno evidenziato che la stabilità, la durata e la direzione delle comunicazioni cerebrali – il modo
in cui le informazioni vengono trasmesse ed elaborate all’interno di una singola area o tra diverse aree del cervello – in assenza di richieste cognitive non cambiano all’interno della fascia di età considerata ma differiscono in base al sesso biologico. Le richieste cognitive si riferiscono alle sollecitazioni e alle sfide che il nostro cervello deve affrontare per elaborare informazioni, risolvere problemi, prendere decisioni e svolgere attività che richiedono attenzione e concentrazione; possono variare in intensità e complessità e sono fondamentali nello sviluppo delle abilità cognitive, specialmente nei bambini.
In particolare, i maschi mostrano un’attività cerebrale più variabile e meno prevedibile, caratterizzata inoltre da una maggiore attivazione del Default-Mode Network, il circuito associato alla “testa tra le nuvole” (mind wandering). Al contrario, le femmine attivano più spesso le aree prefrontali, maggiormente associate alla capacità di concentrazione e attivazione cognitiva. I ricercatori hanno inoltre osservato, sulla base dei questionari compilati dai genitori, che i bambini e le bambine che attivano di più le aree prefrontali mostrano una migliore regolazione comportamentale ed emotiva, mentre chi attiva più spesso il Default-Mode Network riporta maggiori difficoltà.


«Questo studio aveva due obiettivi principali: il primo era capire se e come l’attività cerebrale a riposo dei bambini differisce in base al sesso biologico e all’età. Il secondo era esaminare se questa attività fosse in grado di prevedere eventuali problemi comportamentali, emotivi o legati alle funzioni esecutive, cioè quelle abilità mentali che ci aiutano a pianificare e portare a termine azioni» afferma Lisa Toffoli, prima autrice dello studio e ricercatrice dell’Università di Padova. «Per la prima volta in questa fascia d’età è stata utilizzata una tecnica innovativa di machine learning chiamata “Hidden Markov Models” (HMM) applicata a dati di elettroencefalografia ad alta risoluzione spaziale, che ha permesso di identificare quali aree del cervello comunicano tra loro e come queste comunicazioni cambiano in tempi rapidissimi, nell’ordine di millisecondi» spiega Gian Marco Duma, che ha supervisionato la collaborazione con l’IRCCS E. Medea.

«Questi risultati potrebbero avere significative implicazioni per popolazioni cliniche, in particolare per i disturbi del neurosviluppo come autismo e ADHD, identificando potenziali target neurali nei
processi riabilitativi. Questo potrebbe facilitare approcci terapeutici personalizzati soprattutto in età prescolare, una fase cruciale per lo sviluppo cognitivo» conclude Giovanni Mento, corresponding author dello studio e docente al Dipartimento di Psicologia Generale dall’Ateneo patavino.

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