Mercoledì, 23 Settembre 2020
Mercoledì, 23 Settembre 2020 13:55

I 10 passi per far entrare la natura nelle scuole

 

Sono stati i Panda Club della Romanina, periferia della capitale, i vincitori del Premio Violetta inaugurato lo scorso anno, premio che si è aggiunto a quelli offerti dal WWF all’interno del contest Urban Nature e dedicato ad aumentare la biodiversità negli spazi urbani. Nell’Istituto Comprensivo Raffaello è stato riqualificato uno spazio arido e in abbandono che oggi è animato da una vegetazione rigogliosa e fiorita, paradiso per una grande varietà di farfalle, api e altri insetti impollinatori. Il Premio verrà assegnato anche quest’anno ad altri due Panda Club, classi iscritte al WWF, all’interno del contest di Urban Nature che si concluderà la prossima settimana con le premiazioni di altre 6 classi (due primarie, due secondarie di primo e due di secondo grado).

Le premiazioni del contest Urban Nature sono uno dei passaggi chiave delle due settimane di raccolta fondi del WWF che, fino al 4 ottobre, vuole stimolare la generosità degli italiani per creare, grazie al numero solidale (SMS o chiamata) 45585 il maggior numero possibile di Aule Natura dal nord al sud del paese.
Il WWF vuole allestire negli spazi esterni delle scuole aree di supporto alla didattica in grado non solo di garantire la sicurezza degli alunni attraverso un opportuno distanziamento interpersonale ma di arricchire la didattica in un’aula letteralmente “fatta di natura”.

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In pubblicazione sul Journal of Medical Virology, uno studio condotto sul genoma di SARS-Cov-2 che,attraverso una stima dell’origine e della dinamica delle fasi iniziali dell’epidemia, suggerisce nuove ipotesi sulla trasmissibilità e l’evoluzione del virus. I risultati dello studio, firmato da Università degli Studi di Milano, sono già stati inviati dalla rivista alla Organizzazione Mondiale della Sanità.


E’ stato appena accettato per la pubblicazione sul Journal of Medical Virology, ed è già disponibile in versione pre-print su Medrxiv un lavoro dell’equipe di Gianguglielmo Zehender, Alessia Lai e Massimo Galli del dipartimento di Scienze Biomediche e Cliniche (DIBIC) Luigi Sacco dell’Università di Milano e Centro Ricerca Coordinata EPISOMI (epidemiologia e sorveglianza molecolare delle infezioni), della stessa Universitù Statale.

Lo studio è stato condotto nel laboratorio della Clinica delle Malattie Infettive del DIBIC, presso l’Ospedale Sacco di Milano (ASST Fatebenefratelli Sacco di Milano) e si tratta di un’indagine epidemiologico molecolare, svolta cioè sulle variazioni del genoma virale e quindi sulla filogenesi del virus stesso e non sul numero dei casi osservati. Il nuovo studio si è basato sull’analisi di 52 genomi virali completi di SARS-Cov-2 depositati in banche dati al 30 gennaio 2020 ed ha consentito la datazione dell’origine e la ricostruzione della diffusione dell’infezione nei primi mesi dell’epidemia in Cina, attraverso la stima di parametri epidemiologici fondamentali come il numero riproduttivo di base (R0) e il tempo di raddoppiamento delle infezioni.

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L’articolo pubblicato su Brain da un consorzio internazionale di esperti, di cui fanno parte per l’Italia Daniela Galimberti ed Elio Scarpini del Centro Dino Ferrari dell’Università di Milano e del Policlinico di 


La demenza frontotemporale (FTD) è la seconda causa per frequenza di decadimento cognitivo prima dei 65 anni, dopo la malattia di Alzheimer. E’ una patologia neurodegenerativa corticale lobare progressiva caratterizzata da disturbi psico-comportamentali quali disinibizione, apatia, alterazioni della condotta sociale, mancanza di empatia, impulsività, aggressività. In circa il 40% dei casi vi è una ereditarietà e nel 20% dei casi è possibile identificare una mutazione genetica. Non esistono al momento terapie causali ma solo trattamenti sintomatologici. Un aspetto assai importante dal punto di vista clinico è dato dal fatto che esiste una significativa sovrapposizione sintomatologica tra questa patologia neurodegenerativa ed i disturbi psichiatrici primari di natura non degenerativa, quali depressione, disturbo bipolare, schizofrenia, disturbo ossessivo-compulsivo, spettro autistico ed anche disturbi di personalità.

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Mercoledì, 23 Settembre 2020 12:49

Wild birds as offerings to the Egyptian gods

Mummified sacred ibis from the Egyptology collections at the Musée des Confluences, Lyon.  Romain Amiot/LGL-TPE/CNRS

 


Millions of ibis and birds of prey mummies, sacrificed to the Egyptian gods Horus, Ra or Thoth, have been discovered in the necropolises of the Nile Valley. Such a quantity of mummified birds raises the question of their origin: were they bred, like cats, or were they hunted? Scientists from the CNRS, the Université Claude Bernard Lyon 1 and the C2RMF1 have carried out extensive geochemical analyses on mummies from the Musée des Confluences, Lyon. According to their results, published on 22nd September 2020 in the journal Scientific Reports, they were wild birds.

Mammals, reptiles, birds: the tens of millions of animal mummies deposited as offerings in the necropolises of the Nile Valley bear witness to an intense religious fervour, and to the practices of collecting and preparing animals that undoubtedly contributed significantly to the economy from the Old Kingdom (3rd millennium BC) to Roman Egypt (1st–3rd centuries AD). However, the origin of these animals and the methods of supply remain unknown. For some tamed species, such as the cat, breeding was probably the most efficient way of supplying large numbers of animals for mummification. But unlike cats, bird mummies cover all stages of development, from egg to adult, which may indicate more opportunistic sourcing practices.

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The 2020 excavation campaign at the Tamajón karst in Guadalajara (Spain) and, specifically, at the rockshelter known as La Malia, has been very fruitful, despite its brevity, the result of the COVID-19 public health alarm, and numerous remains of lithic and bone industry have been recovered.

In addition, in this 4th Campaign, which took place from September 4th to 11th, faunal remains with evidence of consumption by human populations during two periods in the Upper Paleolithic were recovered: the more recent being in the Solutrean period, and the older one, of which only a very small area has been excavated so far, in the earliest stages of the Upper Paleolithic.

“These findings corroborate the presence of humans in the interior of the Iberian Peninsula at the onset of the Upper Paleolithic and are of great relevance for understanding the population dynamics in this inhospitable region”, say Adrián Pablos and Nohemi Sala, researchers at the Centro Nacional de Investigación sobre la Evolución Humana (CENIEH), who have been directing the excavations since 2017.

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Cambia la mobilità verso le università italiane


Sarà il trasporto pubblico a subire il maggior calo in termini percentuali in caso di rischio sanitario ancora alto. A dirlo è uno studio della Rete delle Università per lo Sviluppo Sostenibile che ha analizzato il comportamento di 85.000 persone rappresentative della popolazione accademica italiana.


Una persona su tre si sposterà con un proprio mezzo motorizzato nel caso di una nuova ondata pandemica. Una crescita di otto punti percentuali rispetto al periodo pre-Covid. A dirlo è il report “Indagine nazionale sulla mobilità casa-università al tempo del Covid-19” realizzato dalla Rete delle Università per lo Sviluppo Sostenibile (RUS) che ha analizzato il comportamento di 85.000 persone rappresentative della popolazione accademica.
L’indagine, avviata lo scorso luglio e ancora in corso presso alcune università, si è basata su un questionario somministrato online agli studenti, ai docenti e al personale tecnico-amministrativo di 44 atenei italiani (cui si aggiungeranno i risultati di altre 13 università).
Due gli scenari ipotizzati nel questionario:

il virus è pressoché debellato e i contagi sono ridotti;
il virus è ancora pericoloso, il contagio è rallentato ma prosegue.
Il campione preso in esame dal Gruppo di Lavoro Mobilità della RUS coinvolge la comunità accademica di riferimento ed è composto per il 79% da studenti, l’11% da docenti o ricercatori e il 9,6% da personale tecnico-amministrativo.

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Il National Snow and Ice Data Centre ha comunicato poche ore fa il dato relativo al 2020 dell’estensione minima del ghiaccio marino artico, pari a una superficie di 3,74 milioni di chilometri quadrati, probabilmente raggiunta il 15 settembre.

L’estensione misurata quest’anno è la seconda più bassa mai registrata. Il ghiaccio marino dell’Artico ha già perso due terzi del suo volume e negli ultimi decenni l’estensione dei ghiacci marini è diminuita costantemente.

“La rapida scomparsa dei ghiacci marini è un chiaro segnale di quanto il nostro Pianeta sia in pericolo. Con lo scioglimento dell’Artico, l’oceano assorbe più calore e tutti noi diventiamo più esposti agli effetti devastanti dell’emergenza climatica”, commenta Laura Meller della campagna Oceani di Greenpeace Nordic, in questo momento a bordo della nave Arctic Sunrise, impegnata in una spedizione proprio tra i ghiacci marini dell’Artico.

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Pollution particles, including metals, have been found in the placentas of fifteen women in London, according to research led by Queen Mary University of London.

The study, funded by Barts Charity and published in the journal Science of The Total Environment, demonstrate that inhaled particulate matter from air pollution can move from the lungs to distant organs, and that it is taken up by certain cells in the human placenta, and potentially the foetus.

The researchers say that further research is needed to fully define the direct effect that pollution particles may have on the developing foetus. Lead author Professor Jonathan Grigg from Queen Mary University of London said: “Our study for the first time shows that inhaled carbon particulate matter in air pollution, travels in the blood stream, and is taken up by important cells in the placenta. We hope that this information will encourage policy makers to reduce road traffic emissions in this post lock down period.”

Dr Norrice Liu from Queen Mary University of London added: “Pollution levels in London often exceed annual limits and we know that there is a link between maternal exposure to high pollution levels and problems with the foetus, including risk of low birthweight. However, until now we had limited insight into how that might occur in the body.”

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L’Università di Pisa partner della ricerca pubblicata sulla rivista Current Neuropharmacology


La formazione di nuovi neuroni in alcune aree cerebrali come l’ippocampo avviene anche in età adulta e alcuni farmaci come gli antidepressivi, ma anche l’attività fisica e il sonno, stimolano il fenomeno. E’ questo quanto emerge da uno studio dei ricercatori delle Università di Pisa, L’Aquila, Glasgow e dell’IRCCS Neuromed di Pozzilli pubblicato sulla rivista Current Neuropharmacology. Lo studio apre così a nuove prospettive per curare alcune patologie psichiatriche, come ad esempio la depressione, mettendo insieme terapie farmacologiche e non.


“La funzione di questo processo, noto come “neurogenesi” – spiega Marco Scarselli professore di Farmacologia dell’Ateneo pisano - sembra importante per la flessibilità cognitiva, la regolazione emotiva e la resilienza allo stress. Alcuni farmaci, come gli antidepressivi stimolano questo processo e questo meccanismo è in buona parte responsabile della loro efficacia clinica. Tuttavia, anche approcci alternativi non farmacologici come l’attività fisica ed il sonno ristoratore, inducono la neurogenesi, con importanti conseguenze nella pratica clinica”.
All’Università di Pisa la ricerca è stata condotta al Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia da un gruppo composto da Marco Scarselli, Marco Carli, Stefano Aringhieri, Biancamaria Longoni, Giovanna Grenno e Francesco Fornai.

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Is the world prepared a wave of neurological consequences that may be on its way as a result of COVID-19? This question is at the forefront of research underway at the Florey Institute of Neuroscience and Mental Health. A team of neuroscientists and clinicians are examining the potential link between COVID-19 and increased risk of Parkinson’s disease, and measures to get ahead of the curve.

“Although scientists are still learning how the SARS-CoV-2 virus is able to invade the brain and central nervous system, the fact that it’s getting in there is clear. Our best understanding is that the virus can cause insult to brain cells, with potential for neurodegeneration to follow on from there,” said Professor Kevin Barnham from the Florey Institute of Neuroscience & Mental Health.

In a review paper published today, researchers put spotlight on the potential long-term neurological consequences of COVID-19, dubbing it the ‘silent wave’. They are calling for urgent action to be taken to have available more accurate diagnostic tools to identify neurodegeneration early on and a long-term monitoring approach for people who have been infected with the SARS-CoV-2 virus.

The researchers report that neurological symptoms in people infected with the virus have ranged from severe, such as brain hypoxia (lack of oxygen), to more common symptoms such as loss of smell.

“We found that loss of smell or reduced smell was on average reported in three out of four people infected with the SARS-CoV-2 virus. While on the surface this symptom can appear as little cause for concern, it actually tells us a lot about what’s happening on the inside and that is that there’s acute inflammation in the olfactory system responsible for smell,” explained Florey researcher Leah Beauchamp.

Inflammation is understood to play a major role in the pathogenesis of neurogenerative disease and has been particularly well studied in Parkinson’s. Further research into these illnesses may prove critical for future impacts of SARS-CoV-2.

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