Il reperto, oggi conservato presso il Museo delle Civiltà di Roma, è stato preso in esame con avanzate tecniche analitiche e ha permesso di svelare ulteriori dettagli sulla tradizione artistica di Grotta Romanelli, dimostrando quanto il contesto ambientale abbia influenzato lo sviluppo di un patrimonio simbolico-figurativo e quanto il leone delle caverne - uno dei più grandi felini mai esistiti - sia stato una figura di rilievo per le popolazioni preistoriche, come giustificherebbe la sua presenza nell’arte parietale e mobiliare europea.
La raffigurazione sarebbe stata eseguita tra 12.700 e 11.000 anni fa, quando ormai pochi esemplari di leone delle caverne erano presenti in Europa, apparentemente proprio in sud Italia. E quello rappresentato a Grotta Romanelli offre il limite temporale, oltre il quale non vi sono più tracce di questo animale nel nostro continente.
I ricercatori hanno anche riscontrato una serie di raschiature sulla pietra, dovute alla preparazione della superficie, e la presenza di tracce di pigmento rosso che rivelano l’uso di ocra. Gli aspetti tecnici, stilistici e tematici collocano l’arte di Grotta Romanelli nella tradizione artistica della fine del Paleolitico superiore europeo.
Oltre al leone, sul blocco sono stati incisi un asino europeo (Equus hydruntinus), una serie di linee senza ordine apparente, e un rettangolo frangiato che fu realizzato prima del leone.
“L'interdisciplinarità di questo lavoro – commenta Raffaele Sardella del Dipartimento di Scienze della Terra della Sapienza – sottolinea l'importanza di questo tipo di approccio nella ricerca, nonché la necessità di riprendere in mano le vecchie collezioni che hanno ancora tanto da svelare, e, nel caso specifico, apre nuove prospettive di ricerca sul valore simbolico dei grandi felini per le popolazioni paleolitiche e sull'estinzione del leone delle caverne in Europa”.
Grotta Romanelli è un sito di grande importanza per lo studio della preistoria in Italia a partire dalle prime ricerche effettuate all’inizio del XX secolo. La grotta e il contenuto dei sedimenti deposti al suo interno sono stati oggetto di studi fino all’inizio degli anni ’70, prima di andare incontro a un parziale oblio. Nel 2015, dopo più di 40 anni di chiusura furono avviate nuove ricerche sul campo autorizzate dalla SABAP di Brindisi e Lecce, e finanziate dal progetto Grandi Scavi di Sapienza, di cui è responsabile Raffaele Sardella, caratterizzato da un forte approccio interdisciplinare che include differenti studiosi di differenti istituzioni e competenze scientifiche.