Barbara porta la mano di Tabitha nel ghiaccio

 

Sei un fan di Gotham? Allora ricorderai la scena che ha segnato la terrificante discesa di Edward Nygma verso la follia dell'Enigmista. Dopo aver perso la sua amata Isabella, Nygma, che si vanta della sua intelligenza superiore, non cerca semplicemente vendetta, ma una giustizia contorta e macabra. Credendo che Butch e Tabitha Galavan siano i responsabili della morte della donna che amava, li sottopone a un gioco diabolico. Non si tratta solo di punizione, ma di un'estenuante e psicologica caccia alla verità. La scena culmina in un momento agghiacciante: Nygma costringe Tabitha a subire un'amputazione. I suoi alleati, spinti dalla disperazione e dalla speranza, prendono la mano recisa e la mettono in un sacchetto di plastica con del ghiaccio per portarla in ospedale, convinti di salvarla. Ma proprio in questo atto di speranza, la serie commette un errore che, nella vita reale, può avere conseguenze devastanti.

 

In Oriente, i gatti sono re. In Occidente, sono nemici.

Mentre nelle strade di Istanbul o Atene i gatti si crogiolano al sole, nutriti e accuditi da una comunità che li considera parte del paesaggio urbano, nelle nostre città occidentali la loro presenza è spesso vista come una minaccia. Qui, i gatti randagi sono sterilizzati, confinati in colonie controllate e, in alcuni casi, rimossi. Il loro crimine? Essere gatti. Essere predatori.
Invece, per combattere la piaga dei roditori, l'Occidente ha un'arma segreta: il veleno. Un arsenale chimico che avvelena non solo i topi, ma anche i gufi, le volpi, i cani e i gatti domestici che, ignari, si nutrono di carcasse contaminate. È un metodo che distrugge la catena alimentare, inquina l'ambiente e, in ultima analisi, si rivela meno efficace di un predatore naturale come un gatto.
È la grande contraddizione del nostro tempo: cacciamo via i predatori naturali, per poi usare veleni che distruggono l'ecosistema. È come se avessimo dichiarato una guerra ideologica ai gatti a favore di un approccio distruttivo e fallimentare.

 

 

 

 

L'obsolescenza programmata non è un'invenzione moderna, ma una strategia che affonda le sue radici nei primi anni del Novecento. Nata con l'obiettivo di aumentare i profitti, si è evoluta nel tempo, passando dalla meccanica alla sofisticata interazione tra software e microchip, e continua a plasmare il nostro rapporto con i beni di consumo.

 

Un'importante scoperta pubblicata sulla rivista Quaternary Science Advances getta nuova luce sui primi insediamenti di Homo sapiens nell'interno della Penisola Iberica. A guidare lo studio è stato Edgar Téllez, ricercatore del Centro Nacional de Investigación sobre la Evolución Humana (CENIEH). L'indagine, basata sull'analisi dei reperti faunistici trovati nel sito di Abrigo de La Malia (Guadalajara), ha permesso di comprendere le strategie di sopravvivenza di queste antiche popolazioni.



Fig.1 Peso Akan in bronzo - Il coccodrillo solitario - coll. privata

 

Continuando il nostro viaggio nel mondo dei pesi Akan, dopo aver esplorato la loro funzione di strumenti di misurazione e simboli di saggezza, ci concentriamo oggi su una delle figure più affascinanti: il coccodrillo. Non è solo un animale, ma un compendio di proverbi e lezioni di vita, plasmato nel bronzo per guidare le interazioni sociali e commerciali.

 

Il coccodrillo solitario: saggezza e adattabilità
Il peso che raffigura un singolo coccodrillo incarna il proverbio:

"Il coccodrillo vive nell'acqua ma respira aria."

Questa doppia natura lo rende un potente simbolo di adattabilità e resilienza. È una figura che suggerisce la capacità di prosperare in ambienti diversi, di mantenere la propria identità pur navigando tra sfide e cambiamenti. Rappresenta anche l'astuzia e la forza, attributi essenziali per il successo nel commercio e nella vita.

Il coccodrillo e il pesce: il prezzo della prepotenza
Un peso che mostra un coccodrillo che tiene in bocca un pesce serve da monito e si riferisce al proverbio:

"Il coccodrillo che mangia il pesce con avidità non è in grado di respirare."

L'immagine serve a ricordare la necessità di moderazione e il pericolo dell'avidità. L'eccesso può soffocare, metaforicamente e letteralmente, portando alla perdita. È una lezione fondamentale per i commercianti, che sono invitati a non essere ingordi e a condurre affari in modo onesto ed equilibrato.

 

 


Se nel nostro precedente viaggio nel "I pesi Akan: un viaggio nel regno della saggezza" (1, 2) abbiamo esplorato i proverbi e i simboli forgiati nel bronzo, è tempo di scendere nel cuore pulsante della loro economia. L'oro era la valuta, ma il vero valore risiedeva nel rituale che ne accompagnava lo scambio. In un mondo senza banche né ricevute, la fiducia era la moneta più preziosa, e il suo peso veniva misurato attraverso un affascinante rituale: la transazione commerciale con i pesi d'oro.

La Funzione nel Commercio e nella Vita Quotidiana
I pesi d'oro Akan e Ashanti non erano semplicemente degli ornamenti, ma avevano una funzione pratica e fondamentale nell'economia e nella vita quotidiana. Erano essenzialmente il sistema di misurazione utilizzato per il commercio dell'oro, che all'epoca fungeva da valuta. In un'epoca in cui la polvere d'oro era la principale forma di valuta, questi pesi garantivano che ogni transazione fosse equa e regolamentata.

 

 Statuina in bronzo raffigurante schiavo Asante 


Il presente saggio si configura come un'analisi estesa e un commento critico al lavoro di Heather Jane Sharkey, "Domestic slavery in the nineteenth- and early-twentieth-century northern Sudan" (1992). L'obiettivo è esplorare in profondità la tesi dell'autrice, che sposta il focus dalla schiavitù come fenomeno di mero commercio o sfruttamento agricolo per esaminarla come un'istituzione complessa, radicata nel tessuto sociale e culturale sudanese. Il testo discute la trasformazione della schiavitù da pratica d'élite a fenomeno di massa e analizza il suo ruolo nell'etica dell'ozio e nel prestigio sociale. Vengono inoltre affrontate le sfide metodologiche legate alla carenza di fonti dirette e la diversità delle esperienze degli schiavi, spesso ignorate dalla storiografia tradizionale. In conclusione, il nostro saggio traccia un parallelo tra l'eredità irrisolta della schiavitù in Sudan e le sue ripercussioni sul razzismo sistemico e sulle disuguaglianze negli Stati Uniti, sottolineando come in entrambi i contesti il passato continui a plasmare le dinamiche del presente.


Un team di ricercatori italiani ha gettato nuova luce sulla peculiare morfologia cranio-facciale dei Neanderthal. Lo studio, pubblicato su "Evolutionary Anthropology", suggerisce che le caratteristiche distintive di questi nostri "cugini" estinti, come il viso sporgente e la fronte sfuggente, potrebbero derivare da un adattamento iniziale del tratto cervicale, ovvero del collo.

Un ritratto del nostro "fratello perduto"
I Neanderthal (Homo neanderthalensis) sono la prima specie umana estinta ad essere stata scoperta e, grazie a numerosi fossili, sappiamo molto del loro stile di vita e del loro aspetto. Erano esseri umani robusti, con un cervello grande e una cultura complessa. Tuttavia, la loro anatomia era molto diversa dalla nostra: avevano una struttura del corpo tarchiata, adatta a climi glaciali, e una testa dalla forma unica, con un cranio basso e allungato, grandi arcate sopracciliari e un naso prominente.

Una ricerca di archeologia sperimentale della Sapienza analizza le tracce lasciate durante la realizzazione di due incisioni lapidee, avviando una comparazione tra produzioni Alto e Basso Medievali. Lo studio, pubblicato sulla rivista “PLOS ONE”, si propone come modello per indagini future

Uno studio di archeologia sperimentale condotto dal Dipartimento di Scienze dell’antichità della Sapienza propone un approccio profondamente innovativo per lo studio delle iscrizioni medievali su pietra. La ricerca, pubblicata su “PLOS ONE”, introduce protocolli digitali accessibili e replicabili con l’obiettivo di ricostruire le azioni messe in atto dagli artigiani nella lavorazione della pietra e di riconoscere tecniche impiegate e livello di abilità esecutiva.


Uno studio innovativo che sarà pubblicato in "Nature" annuncia il recupero di sequenze proteiche da un fossile di rinoceronte risalente a 21-24 milioni di anni fa, spingendo indietro di milioni di anni i confini della ricerca sulle proteine antiche. Questo risultato senza precedenti apre una nuova frontiera per la paleoproteomica, promettendo di svelare segreti dell'evoluzione risalenti a tempi remoti, ben oltre la portata del DNA antico
Un nuovo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista “Nature” il 9 luglio 2025, descrive l'estrazione e il sequenziamento di antiche proteine dello smalto da un dente di rinoceronte fossilizzato risalente a 21-24 milioni di anni fa, risalente al Miocene inferiore.

 

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