
Figura 1: Rappresentazione schematica di un neurone motore e di fibre muscolari innervate
Esistono due forme principali di SLA, quella definita sporadica e quella ereditaria. La maggior parte dei casi di SLA non sembra avere, anche se non è da escludere, una componente genetica e viene definita sporadica. Le cause di questa non sono state ancora completamente chiarite ed il decorso clinico è altamente variabile, suggerendo che diversi fattori possono essere coinvolti nel determinare la malattia.
Una percentuale oscillante dal 5 al 10% è di origine ereditaria e si parla di SLA familiare.
Il 20% dei casi di SLA familiare è causato dalla mutazione del gene che codifica per l’enzima Superossido dismutasi-1 (SOD-1), una proteina deputata a detossificare le cellule dall’accumulo di radicali liberi. E’ stato osservato che la tossicità della SOD-1 mutata è mediata dall’acquisizione di proprietà tossiche della proteina mutata, piuttosto che da una perdita di funzione dell’enzima stesso.
Un notevole contributo alla caratterizzazione della patogenesi della SLA è stato dato nel 1994 dallo sviluppo di topi transgenici che esprimono la SOD-1 umana mutata. Sono state descritte più di 100 diverse mutazioni a carico del gene SOD-1 ed una delle più frequenti mutazioni Gly93 -->Ala (G93A), è stata ampiamente studiata in questi modelli animali.
I topi transgenici rappresentano pertanto un ottimo modello sperimentale per studiare le cause della patologia umana e gli eventuali rimedi terapeutici.

Figura2: Rappresentazione schematica dei meccanismi molecolari attivati cellule della glia e responsabili della degenerazione del motoneurone. (Schema modificato da Jean-Pierre Julien, Nature Neuroscience 2007; 10:535 - 537)
Grazie allo studio di questo modello sperimentale, diversi gruppi di ricerca hanno progressivamente aggiunto al famoso puzzle della malattia SLA tante piccole o grandi scoperte che hanno permesso di capire sempre meglio la patogenesi della SLA, di disegnare nuovi approcci terapeutici e saggiare l’efficacia o meno di nuove terapie volte a rallentare la progressiva degenerazione dei neuroni motori. Tuttavia gli sforzi scientifici e sperimentali non hanno portato ai risultati attesi e ad oggi non esistono terapie risolutive.
E’ una “sobering” realtà quindi che dopo quasi 15 anni dalla scoperta della mutazione SOD1 nella SLA di tipo familiare non ci sia ancora consenso su quali molecole, segnali e tipi cellulari siano direttamente alterati dalla proteina mutata e tossica SOD1.
In particolare ad oggi, l’ipotesi più accreditata stabilisce che la mutazione nel gene SOD1 causa degenerazione del motoneurone con conseguente paralisi e atrofia muscolare. Tuttavia recenti evidenze sperimentali hanno avanzato il dubbio che i motoneuroni non siano i soli bersagli primari della mutazione SOD1, suggerendo che gli scarsi risultati ottenuti con la terapia convenzionale siano proprio dovuti ad una incompleta conoscenza delle basi molecolari e cellulari della malattia stessa.
Infatti, la selettiva espressione del gene mutato SOD1G93A nei motoneuroni non ha portato alla degenerazione neuronale, né ad evidenti segni di patologia, suggerendo che altri tipi cellulari possono essere coinvolti nell’induzione e progressione della SLA. Tra questi, un ruolo sempre più critico è svolto dalle cellule di sostegno del sistema nervoso, le cellule gliali, le quali possono attivare sia segnali di sopravvivenza, ma anche di morte cellulare a livello dei neuroni motori con conseguente degenerazione neuronale (Figura 2).

Figura 3: La figura mostra che anche il muscolo scheletrico del topo transgenico SOD1G93A (TGmSOD1) esprime la proteina mutata (hSOD1G93A), assente invece dai muscoli dell’animale normale (Wt). L’espressione della proteina -Tubulina serve come controllo.
E il muscolo scheletrico?
E’ interessante notare che la proteina mutata SOD1 è espressa non solo nei motoneuroni, ma anche nei muscoli volontari (Figura 3). Tuttavia se questa espressione muscolare contribuisse all’induzione di qualche segno patologico della SLA rimaneva un punto irrisolto (Figura 2). Infatti la visione corrente esclude il muscolo scheletrico come bersaglio primario della malattia e stabilisce che l’atrofia e la debolezza muscolare, associati alla SLA, sono dovute alla degenerazione dei neuroni motori. Quindi in assenza di alterazione neuronale, il muscolo sarebbe stato in grado di svolgere efficientemente le sue funzioni. Una teoria questa che non ci convinceva; così, supportati da finanziamenti Telethon e MDA, abbiamo generato un nuovo modello sperimentale in cui il gene mutato della SOD1 è stato espresso selettivamente solo nei muscoli volontari.
I risultati che abbiamo ottenuto, pubblicati sulla rivista Cell Metabolism, dimostrano che l’espressione localizzata del gene mutato SOD1 induce atrofia muscolare (Figura 4) associata con una significativa riduzione della forza muscolare, alterazione dell’organizzazione sarcomerica e danno mitocondriale, senza una apparente degenerazione dei motoneuroni. Ciononostante, abbiamo anche osservato che l’espressione muscolo specifica della SOD1 mutata è sufficiente ad indurre i segni pre-sintomatici della SLA a livello del midollo spinale, quali attivazione della microglia e di citochine infiammatorie, che normalmente precedono la degenerazione dei motoneuroni.

Figura 4: Gli inserti mostrano una analisi istologica di fibre muscolari del topo normale (WT) e transgenico (TG) in cui il gene mutato SOD1G93A è stato selettivamente espresso nei muscoli volontari. Il cartoon illustra come l’accumulo della proteina tossica SOD1G93A causa atrofia e debolezza muscolare. (Illustrazione di F. Marchiolli).
L’analisi dei meccanismi molecolari attivati dalla mutazione SOD1 e responsabili dell’atrofia muscolare ha rivelato poi l’attivazione di due vie degradative principali: la via dell’ubiquitina-proteasoma e quella dell’autofagia.
Abbiamo quindi dimostrato che a prescindere dalla degenerazione dei motoneuroni, il muscolo scheletrico può essere danneggiato dallo stress ossidativo, determinato dalla mancata attività normale dell’enzima SOD1, il quale se mutato acquisisce un effetto tossico, attivando nelle cellule bersaglio vie di trasduzione del segnale che portano alla degenerazione cellulare o come nel caso del muscolo all’atrofia muscolare, alla riduzione della forza e all’alterazione dell’organizzazione ultrastrutturale del muscolo.
Questo studio è il primo quindi a:
- stabilire il muscolo scheletrico come un bersaglio primario della mutazione SOD1;
- rivelare il contributo diretto del muscolo scheletrico alla patogenesi della SLA;
- implicare lo stress ossidativo come induttore primario dell’atrofia muscolare;
- individuare i meccanismi molecolari attivati dallo stress ossidativo per l’induzione dell’atrofia muscolare;
- separare l’atrofia muscolare dalla degenerazione del motoneurone.
Questi risultati aggiungono un nuovo tassello alla comprensione dei meccanismi alla base della SLA e aprono nuove prospettive per disegnare strategie terapeutiche più appropriate. Ad oggi, gli scarsi risultati ottenuti con la terapia convenzionale dipendono proprio dal fatto che questi meccanismi non sono del tutto chiari. Occorre invece cominciare a considerare la SLA come una malattia multisistemica, che non riguarda soltanto i motoneuroni, ma che può coinvolgere direttamente anche altri tessuti (come la glia e il muscolo, appunto). È in questa nuova ottica, dunque, che bisogna cominciare a sviluppare approcci terapeutici combinati, che aggrediscano la malattia da più fronti.
Questo studio si è potuto realizzare grazie soprattutto ai finanziamenti Telethon e allo sforzo sinergico di collaboratori scientifici. Determinante è stato il contributo di Gabriella Dobrowolny, Michela Aucello, Carmine Nicoletti e Emanuele Rizzuto del mio gruppo di ricerca e la collaborazione attiva di Marco Sandri (Università di Padova), Giorgio Fanò e Feliciano Protasi (Università di Chieti-Pescara), Zaccaria del Prete (Università di Roma) e Nadia Rosenthal (EMBL).
Antonio Musarò
Istituto Pasteur Cenci-Bolognetti, Dipartimento di Istologia ed Embriologia Medica;
Sapienza Università di Roma