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Venerdì, 23 Aprile 2021


 

Numerosi fattori contribuiscono all’insorgenza della malattia di Parkinson, tra questi c’è anche uno specifico tratto di personalità chiamato nevroticismo. Questo è il risultato dello studio multicentrico su quasi mezzo milione di persone, realizzato dalla Florida State University in collaborazione con Cnr-Irib, Cnr-Ibfm e pubblicato su Movement Disorders

 La malattia di Parkinson colpisce circa l’1-2% della popolazione anziana mondiale ed è la seconda patologia neurodegenerativa più comune dopo il morbo di Alzheimer. Seppur le cause non siano ancora note, gli scienziati ritengono che fattori genetici e ambientali contribuiscano alla sua insorgenza. Una nuova ricerca con partecipazione dell’Istituto per la ricerca e l’innovazione biomedica del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Irib) di Cosenza e l’Istituto per le bioimmagini e fisiologia molecolare (Cnr-Ibfm) di Milano, pubblicata su Movement Disorders, indica che anche il tratto di personalità “nevroticismo” è costantemente associato a un maggiore rischio di sviluppare la malattia di Parkinson.

Pubblicato in Medicina

 

Un gruppo di ricercatori dell’Università degli studi di Trieste, dell’ospedale Cattinara di Trieste e dell’Università di Padova ha osservato la presenza di un legame tra iperparatiroidismo primario lieve - malattia endocrina che colpisce fino all’11% della popolazione femminile in età da menopausa - e rischio cardiovascolare. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista americana The Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism.

Una recente meta-analisi di un gruppo di ricercatori dell’Università degli studi di Trieste, dell’ospedale Cattinara di Trieste e dell’Università di Padova, ha osservato la presenza di un legame tra iperparatiroidismo primario lieve – una malattia endocrina che colpisce fino all’11% della popolazione femminile in età da menopausa – e rischio cardiovascolare.

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista scientifica di riferimento del settore The Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism, e poi ripresa da Physician’s Weekly.

Pubblicato in Medicina


Il consorzio internazionale di scienziati e conservazionisti che lavora per prevenire l'estinzione del rinoceronte bianco del Nord attraverso tecnologie avanzate di riproduzione assistita è lieto di annunciare che nei mesi di marzo e aprile 2021 sono stati prodotti altri quattro embrioni di rinoceronte bianco del Nord. Questa è la procedura (di raccolta degli ovociti in Kenya, fecondazione in vitro e crioconservazione degli embrioni in Italia) che ha avuto maggior successo ad opera del team del Leibniz Institute for Zoo and Wildlife Research (Leibniz-IZW), Safari Park Dvůr Králové, Kenya Wildlife Service, Ol Pejeta Conservancy e Avantea. Inoltre, il team ha confermato il successo della sterilizzazione del maschio del rinoceronte bianco del sud Owuan, eseguita a Dicembre 2020. Owuan sarà ora introdotto nel recinto con le femmine di rinoceronte bianco del sud di Ol Pejeta che sono state identificate come potenziali madri surrogate per la futura prole di rinoceronte bianco del Nord.

Le femmine Najin e Fatu a Ol Pejeta Conservancy, Kenya, sono gli unici rinoceronti bianchi del nord rimasti al Mondo. Per prevenire l'estinzione del rinoceronte bianco del nord, dal 2019, il consorzio internazionale BioRescue, formato da scienziati e conservazionisti, e guidato dal Leibniz-IZW, ha raccolto delle cellule uovo immature (ovociti) dalle due femmine e le ha fecondate artificialmente usando sperma congelato da maschi deceduti per ottenere embrioni vitali. Nel prossimo futuro, gli embrioni saranno trasferiti in madri surrogate di rinoceronte bianco del sud per ottenere prole di rinoceronte bianco del nord.

Pubblicato in Ambiente


L’analisi del DNA antico estratto da un reperto umano risalente a 17000 anni fa retrodata di almeno 3000 anni rispetto a quanto si era creduto fino ad oggi le migrazioni di gruppi dall’Europa orientale e dall’Asia occidentale che hanno contribuito a formare il genoma dei popoli europei contemporanei.

Le migrazioni preistoriche che hanno contribuito a formare il patrimonio genetico dei popoli europei contemporanei sono iniziate molto prima di quanto si era creduto fino ad oggi. Uno studio guidato da ricercatori dell'Università di Bologna, e pubblicato sulla rivista Current BiologyCurrent Biology mostra infatti che la diffusione in Europa meridionale, e in particolare in Italia, di componenti genetiche legate all’Europa orientale e all’Asia occidentale risale ad almeno 17000 anni fa, ovvero 3000 anni prima di quanto ipotizzato finora.

Pubblicato in Paleontologia

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