"I nostri risultati suggeriscono che un consumo elevato di alimenti ultra-processati è associato a differenze nel cervello. Queste associazioni potrebbero essere collegate a pattern comportamentali come l'eccesso di cibo, anche se relazioni causali non possono essere confermate dal nostro studio", spiega Arsène Kanyamibwa, primo autore della ricerca e dottorando presso l'Università di Helsinki.
Ma quali sono esattamente questi cambiamenti cerebrali? E perché dovremmo preoccuparcene?
L'anatomia del controllo alimentare: come funziona il cervello sano
Per capire cosa va storto, dobbiamo prima comprendere come il cervello regola normalmente il nostro rapporto con il cibo. L'alimentazione è governata da due sistemi complementari: quello omeostatico e quello edonico.
Il sistema omeostatico è il nostro regolatore energetico interno. Situato principalmente nell'ipotalamo, monitora costantemente i livelli di energia del corpo attraverso ormoni come la leptina (prodotta dal tessuto adiposo quando le riserve energetiche sono sufficienti) e la grelina (secreta dallo stomaco quando abbiamo fame). Questo sistema aumenta la motivazione a mangiare quando le riserve energetiche si esauriscono e la riduce quando siamo sazi.
Il sistema edonico, invece, è legato al piacere e alla ricompensa. Include strutture come il nucleo accumbens, l'amigdala, il putamen e altre aree del cosiddetto "circuito della ricompensa". Questo sistema rilascia dopamina, il neurotrasmettitore del piacere, quando consumiamo cibi particolarmente appetibili. In condizioni normali, il sistema edonico lavora in armonia con quello omeostatico per garantire che mangiamo abbastanza, ma non troppo.
Il problema sorge quando il sistema edonico prende il sopravvento, ignorando i segnali di sazietà e spingendoci a mangiare per puro piacere anche quando non ne abbiamo bisogno. Ed è esattamente qui che entrano in gioco i cibi ultra-processati.
Cosa sono davvero i cibi ultra-processati?
Non tutti i cibi lavorati sono uguali. Le verdure surgelate sono tecnicamente alimenti processati, così come il latte pastorizzato, ma nessuno direbbe che fanno male. I problemi iniziano con gli alimenti ultra-processati (UPF): formulazioni industriali che contengono ingredienti che non troveremmo mai in una cucina domestica.
Gli UPF sono caratterizzati da:
-Additivi chimici (conservanti, coloranti, aromatizzanti artificiali)
-Emulsionanti (sostanze che tengono insieme ingredienti che normalmente si separerebbero)
-Zuccheri aggiunti in grandi quantità
-Grassi modificati chimicamente (come gli oli idrogenati)
-Proteine isolate e raffinate
-Esaltatori di sapidità
Questi ingredienti non solo rendono i cibi più appetibili, ma sembrano avere effetti diretti sul cervello che vanno ben oltre le semplici calorie fornite.
Il meccanismo del ricablaggio cerebrale: cosa hanno scoperto i ricercatori
Utilizzando la risonanza magnetica con imaging di diffusione (DWI), i ricercatori hanno osservato cambiamenti nella microstruttura tissutale di diverse regioni cerebrali fondamentali per il controllo dell'alimentazione.
Nell'ipotalamo, centro di controllo omeostatico dell'alimentazione, il consumo elevato di UPF è stato associato a una riduzione della diffusività media (MD), un indicatore di maggiore cellularità. Studi precedenti hanno dimostrato che questo fenomeno riflette la gliosi, ovvero una proliferazione di cellule gliali in risposta a danni o infiammazione cerebrale. In parole semplici, l'ipotalamo di chi consuma molti UPF mostra segni di stress infiammatorio.
Alterazioni nel circuito della ricompensa
Nel nucleo accumbens, nel putamen e nel pallido - tutte strutture del sistema di ricompensa - i ricercatori hanno trovato il pattern opposto: maggiore diffusività media e minore frazione volumetrica intracellulare, segnali che indicano ridotta cellularità e maggiore contenuto d'acqua. Questi cambiamenti potrebbero riflettere processi neurodegenerativi precoci.
"In particolare, abbiamo osservato che il consumo di UPF è correlato a cambiamenti strutturali nelle regioni cerebrali che regolano il comportamento alimentare, come l'ipotalamo, l'amigdala e il nucleo accumbens destro. Questo potrebbe portare a un ciclo di sovralimentazione", afferma Kanyamibwa.
L'amigdala, cruciale per l'elaborazione emotiva e per assegnare valore emozionale al cibo, mostra anch'essa alterazioni strutturali. Questo spiegherebbe perché determinati alimenti ultra-processati acquisiscono un valore emotivo così potente da risultare irresistibili.
Perché non è solo questione di obesità: il ruolo degli additivi
Una delle scoperte più sorprendenti dello studio è che le associazioni tra UPF e cambiamenti cerebrali non sono spiegate solo dall'obesità o dall'infiammazione sistemica. Anche persone normopeso che consumano regolarmente cibi ultra-processati mostrano questi cambiamenti cerebrali.
Gli emulsionanti come la carbossimetilcellulosa (CMC) e il polisorbato-80 (P80), utilizzati per migliorare la consistenza e prolungare la shelf-life dei prodotti, hanno dimostrato di attraversare la barriera emato-encefalica. Studi su animali hanno rivelato che questi additivi possono:
-Alterare l'espressione genica nell'amigdala e nel nucleo paraventricolare dell'ipotalamo
-Promuovere infiammazione cerebrale di basso grado
-Modificare il microbiota intestinale, con conseguenze sull'asse intestino-cervello
-Attivare microglia e astrociti, cellule immunitarie del cervello
I grassi trans presenti negli UPF possono alterare la composizione dei fosfolipidi delle membrane neuronali, compromettendo la comunicazione tra neuroni. Inoltre, i prodotti di glicazione avanzata (AGE), formati durante la lavorazione ad alte temperature, hanno effetti pro-infiammatori diretti sul tessuto cerebrale.
L'effetto sinergico di grassi e zuccheri
La combinazione di grassi e zuccheri raffinati - una caratteristica distintiva degli UPF raramente presente in natura - crea un effetto sinergico sul rilascio di dopamina nel cervello. Questa combinazione attiva i circuiti della ricompensa in modo molto più potente di quanto farebbero questi nutrienti separatamente, creando una risposta che ricorda quella delle droghe d'abuso.
Il circolo vizioso: da consumatore a dipendente
- Primo contatto: Consumando un cibo ultra-processato, si verifica un rilascio massiccio di dopamina nel circuito della ricompensa, molto più intenso di quello provocato da alimenti naturali.
- Tolleranza: Con il consumo ripetuto, i recettori della dopamina cominciano a diminuire (downregulation). Il cervello, percependo troppa dopamina, riduce il numero di recettori per mantenere l'equilibrio. Ora servono quantità maggiori di cibo per ottenere lo stesso livello di piacere.
- Cambiamenti strutturali: Gli additivi e la composizione nutrizionale degli UPF iniziano a modificare fisicamente la struttura delle aree cerebrali coinvolte nel controllo alimentare, come dimostrato dallo studio.
Perdita di controllo omeostatico: L'ipotalamo, danneggiato dall'infiammazione cronica, perde gradualmente la capacità di regolare efficacemente la fame e la sazietà.
- Astinenza e craving: Quando i livelli di dopamina calano tra un consumo e l'altro, si sperimenta uno stato di malessere e irritabilità che spinge a cercare nuovamente questi alimenti.
- Abbuffate compensatorie: Il sistema edonico iperstimolato ma desensibilizzato richiede dosi sempre maggiori per sentirsi soddisfatti, portando a episodi di alimentazione compulsiva.
Questo meccanismo è stato confermato da studi comportamentali: ricerche su oltre 11 studi diversi hanno mostrato che il consumo di UPF promuove velocità di consumo più rapide, maggiore palatabilità percepita, attivazione dei circuiti cerebrali della ricompensa e comportamenti da dipendenza alimentare.
Lo studio di Helsinki-McGill non è isolato. Negli ultimi anni, diverse ricerche hanno confermato il legame tra UPF e salute cerebrale.
Ricercatori della Virginia Tech hanno seguito oltre 10.000 adulti americani sopra i 55 anni per sette anni, scoprendo che il consumo di carni processate e bevande zuccherate è correlato a un declino del 17% nelle funzioni cognitive per ogni porzione giornaliera di carne lavorata, e del 6% per ogni bevanda zuccherata. I test includevano valutazioni della memoria immediata e ritardata, calcoli aritmetici e altri indicatori di funzione cognitiva globale.
Una ricerca pubblicata su Neurology ha mostrato che le persone che consumano più UPF hanno un aumento del rischio di ictus e declino cognitivo, indipendentemente dalla qualità complessiva della dieta.
Un trial randomizzato controllato condotto in ambiente clinico ha dimostrato che i partecipanti che seguivano una dieta ultra-processata consumavano più calorie e guadagnavano più peso rispetto a quelli con diete minimamente processate, anche quando le due diete erano identiche per macronutrienti e calorie dichiarate. Questo conferma che c'è qualcosa negli UPF, oltre le semplici calorie, che promuove il sovraconsumo.
Non tutti gli UPF sono ugualmente dannosi per il cervello. Lo studio della Virginia Tech ha identificato due categorie particolarmente problematiche:
Carni processate
Salumi, salsicce, bacon e altri prodotti a base di carne ultra-processata contengono:
- Nitriti e nitrati (conservanti che possono formare composti neurotossici)
- Alte concentrazioni di sodio (correlato a danni vascolari cerebrali)
- AGE in abbondanza (formati durante cotture ad alte temperature)
- Grassi saturi modificati
Bibite gassate, energy drink e succhi di frutta industriali rappresentano un assalto diretto al cervello attraverso:
-Picchi glicemici rapidi che alterano l'equilibrio metabolico cerebrale
-Fruttosio in alte concentrazioni (metabolizzato principalmente dal fegato ma con effetti sistemici)
-Additivi chimici (coloranti, conservanti, aromatizzanti)
-Assenza di fibre che modulino l'assorbimento
Un altro pezzo del puzzle riguarda il microbiota intestinale. Gli UPF hanno dimostrato di:
-Ridurre la diversità microbica intestinale
-Aumentare batteri pro-infiammatori (come i proteobatteri)
-Alterare la produzione di neurotrasmettitori intestinali
-Compromettere l'integrità della barriera intestinale, permettendo il passaggio di sostanze infiammatorie nel circolo sanguigno
Il microbiota produce sostanze che influenzano direttamente il cervello, inclusi acidi grassi a catena corta, serotonina (il 90% della serotonina corporea è prodotta nell'intestino), e altri neurotrasmettitori. Quando gli UPF alterano questo ecosistema, le conseguenze si ripercuotono sulla salute mentale, sull'umore e sul controllo dell'appetito.
Non tutti reagiscono allo stesso modo ai cibi ultra-processati. La suscettibilità individuale dipende da vari fattori:
-Genetica
Varianti genetiche nei recettori della dopamina (come il polimorfismo TaqIA del gene del recettore D2) possono rendere alcune persone più vulnerabili alla dipendenza da cibo. Chi possiede certe varianti genetiche ha naturalmente meno recettori D2 nel cervello, partendo quindi già in una condizione di "deficit di ricompensa" che li porta a cercare stimoli più intensi.
-Storia alimentare precoce
L'esposizione agli UPF durante periodi critici dello sviluppo (gravidanza, infanzia, adolescenza) può programmare i circuiti cerebrali in modo permanente. Bambini esposti precocemente sviluppano preferenze durature per questi alimenti e circuiti della ricompensa meno sensibili a cibi naturali.
-Condizioni psicologiche
Persone con ansia, depressione o disturbi da stress sono particolarmente vulnerabili perché utilizzano il cibo come meccanismo di coping emotivo. Gli UPF, con il loro potente effetto sul sistema della ricompensa, diventano una forma di auto-medicazione.
-Stato metabolico
Paradossalmente, l'obesità stessa può aumentare la vulnerabilità: l'infiammazione cronica e la resistenza alla leptina tipiche dell'obesità rendono il cervello meno sensibile ai segnali di sazietà, creando un circolo vizioso.
"Studi longitudinali ed esperimenti controllati sono ancora necessari per rafforzare l'associazione", ammette Kanyamibwa. Tuttavia, la convergenza di evidenze da studi su animali, trial controllati randomizzati, ricerche osservazionali longitudinali e meccanismi biologici plausibili rende il quadro sempre più convincente.
Alcuni ricercatori sottolineano anche la necessità di distinguere meglio tra diverse categorie di UPF: non tutti gli alimenti ultra-processati hanno lo stesso impatto. Pane industriale integrale, ad esempio, potrebbe essere classificato come UPF ma avere effetti molto diversi da una bibita gassata o da patatine fritte.
Le scoperte hanno conseguenze che vanno ben oltre le scelte individuali. "Data la crescente mole di evidenze, ridurre l'assunzione di alimenti ultra-processati e rafforzare gli standard regolatori nella produzione alimentare potrebbero essere passi cruciali per garantire migliori risultati di salute pubblica", afferma Kanyamibwa.
Bibliografia:
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