Scoperti i più antichi antenati del bue domestico: i resti nella valle dell’Indo e in Mesopotamia risalgono a 10mila anni fa
La ricerca, pubblicata sulla rivista Nature, ha coinvolto il paleontologo dell’Università di Pisa, Luca Pandolfi.
I più antichi antenati del bue domestico sono stati scoperti nella valle dell’Indo e nella mezzaluna fertile in Mesopotamia: si tratta di resti di uro (Bos primigenius) risalenti a circa 10mila anni fa. La ricerca pubblicata sulla rivista Nature e condotta dal Trinity College di Dublino e dall’Università di Copenaghen, ha coinvolto Luca Pandolfi, paleontologo del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa, che da tempo si occupa dell’evoluzione e dell’estinzione dei grandi mammiferi continentali anche in relazione ai cambiamenti climatici.
12,000-Year-Old Spindle Whorls Uncovered in the Jordan Valley
A new study by researchers from Hebrew University has identified 12,000 years old spindle whorls — early tools used to spin fibers into yarn. This discovery, recovered from the Nahal-Ein Gev II dig site in northern Israel, provides the earliest evidence of wheeled rotational technology in the Levant, offering insights into the technological advancements of the Natufian culture during the important transition to an agricultural lifestyle.
The study, recently published in PLOS ONE, was led by Talia Yashuv and Professor Leore Grosman from the Computational Archaeology Laboratory at the Hebrew University’s Institute of Archaeology. Introducing an innovative method for studying perforated objects, based on digital 3-D models of the stones and their negative holes, the authors describe more than a hundred of the mostly-limestone pebbles, which feature a circular shape perforated by a central hole. Due to this structure and composition, the authors deduce that the stones were likely used as spindle whorls — a hypothesis also supported by successfully spinning flax using replicas of the stones.
Un nuovo approccio al pancreas artificiale per pazienti diabetici di tipo 1: controllo ottimo impulsivo della glicemia
Uno studio congiunto dell’Istituto di analisi dei sistemi ed informatica del Cnr e dell’Università campus bio-medico di Roma ha mostrato come regolare in modo ottimo i livelli di glicemia nei pazienti con diabete di tipo 1, mediante tecniche di controllo impulsivo. Il lavoro è stato pubblicato sulla rivista IEEE Transactions on Control Systems Technology.
Ricercatori dell’Istituto di analisi dei sistemi ed informatica ‘A. Ruberti’ del Consiglio nazionale delle ricerche di Roma (Cnr-Iasi), in collaborazione con l’Università campus bio-medico di Roma, hanno sviluppato un nuovo approccio alla regolazione della glicemia nei pazienti con diabete di tipo 1, basato su strategie di ‘controllo ottimo impulsivo’, progettato specificamente per la gestione tramite iniezioni multiple giornaliere (MDI). Come è noto, il diabete di tipo 1 è una malattia cronica caratterizzata da livelli elevati e persistenti di glucosio nel sangue, causati da una assenza di produzione dell’ormone insulina, che pertanto deve essere somministrata esternamente e con frequenza regolare, aprendo la strada all’adozione di tecniche avanzate di controllo automatico. Il ‘controllo ottimo impulsivo’ è una tecnica innovativa di controllo che ha l’obiettivo di determinare la dose ottimale di insulina da iniettare in base a misure periodiche di glicemia, a una stima del livello di insulina nel sangue e alle abitudini alimentari del paziente.
Il metodo, pubblicato sulla rivista IEEE Transactions on Control Systems Technology, si caratterizza per la capacità di calcolare inizialmente offline una traiettoria glicemica ottimale in condizioni ideali.
Cambiamento climatico: il ritiro dei ghiacciai indebolisce l’ecosistema
Con il ritiro dei ghiacciai le interazioni tra piante e impollinatori diventano più fragili, rischiando direndere l'intero ecosistema più vulnerabile ai cambiamenti ambientali in atto e meno resiliente.
E’ il risultato della ricerca di un’equipe internazionale di scienziati coordinato dall’Università Stataledi Milano, effettuata nell’area del ghiacciaio del Mont Miné nelle Alpi Svizzere e pubblicata su Ecography.
I ghiacciai si stanno ritirando, questo ormai è noto. Ma che cosa succede alla terra una volta libera dal ghiaccio? Che tipo di nuovo ecosistema si viene a formare?
Per capire l'impatto del ritiro dei ghiacciai su biodiversità e funzionamento dei sistemi ecologici, un’équipe internazionale di scienziati dell’Università degli Studi di Milano, in collaborazione con l’University of Lausanne, con l’Università Sapienza di Roma e con l’Università di Modena e Reggio Emilia, ha preso in esame le interazioni tra piante e impollinatori e ha scoperto che il ritiro dei ghiacciai mette a rischio la stabilità delle relazioni tra piante e impollinatori, fondamentali per la biodiversità.
Individuata una nuova molecola capace di rallentare la progressione della retinite pigmentosa
L’Università di Pisa partner dello studio che ha guadagnato la copertina del Journal of Medicinal Chemistry.
Si chiama REPISTAT, è una nuova molecola capace di rallentare la progressione della retinite pigmentosa, una rara patologia genetica che può portare negli anni alla totale cecità. La scoperta arriva da uno studio, che si è guadagnato la copertina del Journal of Medicinal Chemistry. A progettare e sintetizzare la molecola è stato un gruppo di ricerca di chimica farmaceutica dell’Ateneo di Siena in collaborazione, per le prove biologiche, con il Dipartimento di Farmacia dell’Ateneo pisano, e con l’Istituto di Neuroscienze del CNR - Pisa, la University College London e l’Università di Ferrara.
Come le cellule immunitarie "annusano" i patogeni
Ricercatori dell'Università di Bonn hanno messo a punto un metodo innovativo per osservare in azione i recettori immunitari.
Le cellule immunitarie sono in grado di rilevare le infezioni proprio come un cane fiuto, grazie a speciali sensori chiamati recettori Toll-like, o TLR. Ma quali segnali attivano i TLR e qual è la relazione tra l'intensità e la natura di questa attivazione e la sostanza rilevata? In uno studio recente, i ricercatori dell'Università di Bonn e dell'ospedale universitario di Bonn (UKB) hanno utilizzato un metodo innovativo per rispondere a queste domande. Questo approccio potrebbe accelerare la ricerca di farmaci per combattere malattie infettive, il cancro, il diabete o la demenza. I loro risultati sono stati pubblicati sulla rivista "Nature Communications".
Underwater caves provide clues to understanding the first settlers of Sicily
Diver pointing at potential Pleistocene sediments on the seabed/Ilaria Patania
Sicily, one of the first Mediterranean islands to be permanently occupied by human populations, continues to unveil its mysteries through the EOS project (Early Occupation of Sicily), led by Professor Ilaria Patania from Washington University in St. Louis and in collaboration with Ignacio A. Lazagabaster, a researcher at the Centro Nacionalde Investigación sobre la Evolución Humana (CENIEH). This project focuses on the study of archaeological sediments found in caves and rock shelters along the southern coastal zones of Sicily, including several underwater sites that require subaquatic excavation methods.
Lotta ai tumori e alle malattie genetiche grazie alle nanoparticelle lipidiche
I ricercatori del NanoDelivery Lab della Sapienza hanno sviluppato una tecnologia che utilizza nanostrutture biocompatibili per trasportare grandi molecole di DNA preparando il terreno per nuove terapie geniche mirate. I risultati dello studio sono pubblicati su Nature Communications
L’avvento delle nanoparticelle lipidiche ha rivoluzionato il campo della terapia genica. Utilizzate anche nello sviluppo di vaccini a base di mRNA contro il COVID-19, le nanoparticelle lipidiche hanno dimostrato un grande successo nelle applicazioni cliniche. Tuttavia, la capacità di queste particelle di incapsulare efficacemente molecole di DNA di grandi dimensioni rimane ancora un campo poco battuto.
Da rifiuti a risorsa: gli scarti agro-alimentari diventano fitovaccini e biopesticidi
Due studi internazionali, coordinati dalla Sapienza, mostrano come i residui della produzione di olio extravergine d’oliva possano essere valorizzati in composti immunostimolanti e antimicrobici, efficaci nella protezione delle piante da malattie come come Xylella fastidiosa. I risultati sono stati pubblicati sulle riviste Plant Stress e Plant Physiology and Biochemistry
La crescente produzione globale di olio d'oliva ha portato con sé sfide ambientali rilevanti. Gli scarti generati dai frantoi spesso non vengono smaltiti in modo controllato, causando danni al suolo e compromettendo la salute microbica a causa dell'alto contenuto di tannini e composti fenolici.
Per produrre l'etilene ci vuole...il sole
Un catalizzatore a base di cobalto (in centro) promuove la conversione di molecole di acetilene (a sinistra) in molecole di etilene (a destra) mediante l’impiego della luce come fonte energetica.
Studio dell’Università di Padova rivoluziona i processi chimici di produzione di etilene puro con la luce solare per un futuro più sostenibile.
L’etilene è la sostanza chimica organica più importante dell’industria moderna: con una produzione annua che raggiunge 200 milioni di tonnellate, le sue applicazioni spaziano dalla produzione di circa il 60% di tutte le plastiche alla gestione agricola, fino alla sintesi di numerosi prodotti chimici e composti organici.
Oggigiorno l’etilene viene prodotto principalmente attraverso la pirolisi petrolchimica di idrocarburi, un processo industriale che introduce delle impurezze di acetilene che limitano il diretto utilizzo dell’etilene prodotto. Per questo motivo, in industria, l’etilene deve essere prima purificato dall’acetilene in un processo di trasformazione che attualmente presenta grandi problematiche in termini di sostenibilità poiché necessita di alte temperature e metalli nobili – costosi e difficili da reperire – come catalizzatori. Nonostante i progressi compiuti, queste strategie tradizionali per la conversione dell’acetilene in etilene possiedono ancora una selettività relativamente bassa (ossia l’acetilene non viene soltanto convertito nel desiderato etilene, ma una parte di esso viene anche convertito in prodotti non desiderati).