Evoluzione dell’evoluzionismo: gli anni del “dopo Darwin” (Parte prima)

Spenta l’ondata romantica, spente le prime eco che avevano accompagnato la scoperta di Darwin, rimaneva una perplessità di fondo che avrebbe accompagnato la coscienza di una transizione generazionale e l’avvio di un nuovo secolo, il ‘900, carico di promesse quanto di tragedie storiche. Dopo lo sgomento provocato dalla teoria darwinista nella società ottocentesca, si affermò un “pensiero creativo” che, affiancando lo studio sistematico degli oggetti nei laboratori a un nuovo modo di interpretare la conoscenza scientifica, portò anche all’allestimento dei primi nuclei museali.

Questo articolo, presentato necessariamente a “puntate” per motivi di lunghezza, intende fornire una semplice “foto”, un dagherrotipo in bianco e nero, di alcuni fermenti di pensiero di quegli anni. La vera foto in questione (v. immagine n. 1)  fu scattata nel 1865 e ritrae un gruppo di giovani e baldanzosi scienziati armati di retino, ripresi durante una spedizione ad Helgoland (arcipelago di importanza strategica nel Mare del Nord)  per alcune ricerche sulle forme di vita marine. Tra i personaggi ritratti, Haeckel e Dohrn lasceranno  anche una realtà museale a testimonianza dei loro studi.

 

Didascalia immagine n. 1 (in piedi, da sinistra verso destra) Anton Dohrn, Richard Greef, Ernst Haeckel; (seduti, sempre da sinistra verso destra) Salverda e Pietro Marchi
 

Il darwinismo non viaggiava da solo nel vasto ed eterogeneo scenario scientifico dell’epoca: personaggi quali Meyer, Helmoltz, Kelvin, avevano aperto la strada ad un nuovo modo di trattare, in termini di equilibri energetici, i temi della materia e della natura. Il sapere scientifico, tuttavia, non avrebbe mai potuto imporsi, e dominare, senza le premesse del positivismo. Gli strumenti scientifici di misurazione messi a punto dall’uomo moderno, calato nell’attualità delle nuove scienze sociali (ambito di applicazione dell’evoluzionismo) portarono all’applicazione di quel “Savoir pour prévoir, afin de pourvoir” proposto da August Comte (1798 – 1857); la “fisica sociale”, scienza che utilizzava la statica e la dinamica per descrivere i mutamenti nell’ordine sociale si fondava infatti sulla  teoria dei “tre stadi” (teologico, metafisico e positivo) necessari al superamento finale di tradizioni e superstizioni. Allo stesso periodo risale anche la nascita della “frenologia” di Franz Joseph Gall (1758 – 1828), dottrina fisiognomica che correlava facoltà mentali e fisiche (relazione tra corteccia cerebrale e parti dell’encefalo) permettendo teoricamente di comprendere il carattere di una persona dalla forma del suo cranio. Individuata la tipologia umana, sarebbe stato possibile migliorare istinti e capacità intellettive di un individuo e quindi della società. Fu così che si giunse, per la prima volta nella storia, alla definizione di tipo medio:  Lambert Adolphe Jacques Quételet (1796 – 1874) nella Physique sociale (1869) propose l’utilizzo della statistica e delle leggi della probabilità per lo studio degli “indicatori morali” (follia, criminalità) alla ricerca di uno standard per l’uomo comune.  La durata della vita si era allungata, i progressi in campo medico sembravano confermare un futuro felice per l’umanità, almeno quanto bastava per soddisfare le esigenze produttive... Tant’è che l’altro lato della medaglia fu rappresentato dal tipo “criminale” descritto dallo psichiatra Cesare Lombroso (1835-1909), dal naturalismo letterario, dal suicidio dei poveri, spesso per disperazione più che per inseguire i grandi ideali romantici, in una società nuova ma condannata, di cui fu grande narratore Émile Zola (1840 – 1902) con i suoi personaggi appartenenti al proletariato urbano (Thérese Raquin) o industriale (Germinal), il vero volto del Progresso nella legge oscura della Bête Humaine.

L’idea di un rapporto positivo fra l’esperienza e i concetti entro cui essa è pensata, aveva dunque condotto al positivismo evoluzionistico, che ha condizionato la nostra cultura almeno quanto l’industrializzazione ha trasformato la nostra vita.

Abbiamo visto che nel periodo che intercorre tra il 1857 e il 1862 (rispettivamente anno di pubblicazione di “Progress, Its Law and Cause” e “Primi principi” del filosofo Herbert Spencer), Darwin e Wallace avevano presentato congiuntamente (1858) la teoria sull’origine della specie. Il pensiero di Spencer, in qualche maniera, si era prestato a legittimare filosoficamente le teorie evoluzioniste, secondo un processo di sviluppo necessario, la cui legge era il progresso e il cui assunto il concetto di evoluzione.
D’altro canto la polemica sui tempi del mutamento biologico si era trascinata per anni, riguardando soprattutto la discendenza con modifiche nel processo di selezione naturale: i successori di Darwin si erano trovati costretti ad affrontare sia i dubbi biologici sulla trasmissione ereditaria e sul ritmo del mutamento organico (o sulla sua imprevedibilità), sia i dubbi avanzati da Lord William Thomson Kelvin (1824 - 1907) riguardo le età della Terra.
Nel frattempo, in campo biologico, le ricerche di Hugo De Vries (1848 – 1935), riferite alla teoria dei mutamenti morfologici ereditari, non potevano tener conto degli studi di Mendel  (1822 – 1884), riscoperti soltanto nel 1900. L’abate Mendel aveva infatti presentato a Brno, nel 1865, tra la totale indifferenza del mondo scientifico,  i risultati dei suoi esperimenti condotti su una varietà di piselli dai caratteri facilmente osservabili: egli li studiò nel corso di generazioni, nel suo orto, scoprendo che i caratteri osservati “passavano” per la cellula germinale come delle unità (senza mescolarsi con altre) per mezzo della “segregazione dei gameti”.
Le unità, corpuscolari e inalterabili (a parte casi di mutazione) differivano in modo inquietante dai pangeni di Darwin...
A sua volta, nel 1887, August Weissman (1834-1914) aveva postulato un plasma germinale immortale e inviolabile, composto da cellule riproduttive che si isolano e transitano tra i soggetti della storia della razza: gli eventuali mutamenti nella filogenesi di un organismo erano dunque connessi all’alterazione dei determinatori ereditari di tale plasma. Lo studio dei cromosomi (condotto con la tecnica di colorazione delle cellule utilizzata in Germania) avrebbe aiutato a comprendere le nuove combinazioni, ritenute un fattore selettivo nella lotta per l’esistenza.

Nonostante il pensiero positivista fosse alla base dell’approccio di molti studiosi (soprattutto fisici e biologi) di fine Ottocento, i coevi di Darwin interpretarono dunque le sue teorie in modi differenti, dal panteismo al monismo.
In particolare uno di loro, Ernst Haeckel (1834 – 1919), cui sarà dedicata questa prima parte, può essere considerato colui che portò il darwinismo in Germania, nazione in cui, sedata l’ondata rivoluzionaria dei moti del 1848, era stato pesantemente ripristinato l’ordine e nella quale la voce dominante sarebbe stata quella, tutt’altro che tenera, del prussiano Otto von Bismarck. 

Ma quale era il quadro di riferimento economico nel Paese nativo di Haeckel e di Dohrn, i due giovani ritratti nella foto?
In quegli anni l’economia era in crescita: tra il 1835 e il 1870 il volume del bilancio delle banche era aumentato di 10 volte, le ferrovie avevano segnato un forte incremento, nella grande industria (tra il 1882 e il 1907) le piccole aziende con meno di 6 occupati erano scese dal 60% al 31%, e l’editoria viveva il suo grande momento. In agricoltura la “legge del minimo” di Justus von Liebig (1803 - 1873) e i progressi compiuti dalla tecnologia stavano modificando lo scenario delle campagne. Fu adottata la concimazione chimica, comparvero aratri a vapore e motori a pistoni (1890), le scorie derivanti dal convertitore Thomas nella produzione dell’acciaio vennero utilizzate come fertilizzanti chimici, e aumentò la coltivazione intensiva del grano per incrementare l’immissione di azoto nel suolo.
Nella Germania tecnologicamente in fase di sviluppo si poneva dunque il problema di far coincidere elementi tra loro differenti, se non discordi: progresso industriale e condizioni di vita della popolazione, espansione territoriale e unicità culturale, Naturphilosophie e materialismo scientifico. E la lista potrebbe continuare.
Nel terreno minato delle “discrasie” culturali e del dibattito sui “confini della conoscenza della natura” (e per traslato sui confini della conoscenza scientifica) si scontrarono materialisti dichiarati come il fisiologo Karl Vogt (1817 - 1895) ed Emil Du Bois - Reymond (1818 – 1896), il quale nel 1880 enumerò “I sette enigmi del mondo”: l’origine della materia e della forza, l’origine del movimento, il sorgere della vita, l’ordinamento finalistico della natura, il sorgere della sensibilità e della coscienza, il pensiero razionale e l’origine del linguaggio, la libertà del volere. Per Du Bois - Reymond la scienza non avrebbe mai potuto risolverli.
In tale putiferio intellettuale si situa Ernst Haeckel, professore ordinario all’Università di Jena, istituto presso cui fondò la Facoltà di Zoologia (con il primo laboratorio universitario creato con fondi statali). Figura eclettica di medico, biologo, zoologo (fondò anche la sezione di zoologia nel Museo universitario di Jena), Haeckel fu soprattutto un grande divulgatore: i suoi trattati Il monismo come legame tra religione e scienza (1893) e I problemi dell’Universo (1899) furono venduti in oltre 400.000 copie e tradotti in 30 lingue.
Al pari dei suoi connazionali, egli intraprese il Grand Tour naturalistico, che lo spinse lungo le coste francesi e italiane, e che portò alla luce uno straordinario disegnatore, al punto che le sue riproduzioni di meduse o di microrganismi (Forme artistiche della natura, 1904) sono considerate uno dei più grandi esempi di stile Liberty.

 

Didascalia immagine n. 2: La Medusa Anna-Sethe, riprodotta da E. Haeckel (Forme artistiche della natura, 1904) e da lui dedicata alla moglie (“creatura devota”) prematuramente scomparsa dopo soltanto un anno dal matrimonio. 

Ad Haeckel si deve l’interpretazione “idealistica” di Darwin, inquadrato in una concezione unitaria della natura in cui l’evoluzionismo è considerato idea rappresentativa di una “forza cosmica”  (“manifestazione dell’energia creatrice della natura”). Nel punto di intersezione tra idealismo e materialismo si situa infatti la teoria biogenetica da lui formulata. Essa si basa sul parallelismo tra lo sviluppo embrionale e lo sviluppo della specie a cui l’embrione appartiene: “L’ontogenesi è una breve ricapitolazione della filogenesi o evoluzione della stirpe, cioè dei precursori che formano la catena dei progenitori dell’individuo stesso, ripetizione determinata dalle leggi dell’ereditarietà e dell’adattamento”. Un’applicazione, questa, delle teorie evolutive, che insieme alla lotta per la sopravvivenza del più adatto, all’idea di divisione del lavoro (già proposta da Durkheim) ed all’equilibrio ecologico, gettò le basi per la questione razziale e il darwinismo sociale. Si stava dunque levando il sipario sul problema della razza.

Charles Darwin (1809 - 1882) ed Ernst Haeckel erano amici ed ovviamente mantennero un fitto scambio di corrispondenza, così che quando fu pubblicata L’origine dell’uomo e la selezione sessuale di Darwin (1871), Haeckel decise di esprimere il suo punto di vista sulla “vera” origine dell’uomo: nella Antropogenesi e la storia dello sviluppo umano (1877) egli accennò, inaspettatamente e scandalosamente, ad una vita nata dalla sostanza inorganica.
Secondo le teorie haeckeliane, per un processo di autogenesi, si erano formati in un Tempo incalcolabile e lontano, gli organismi primordiali detti monere, ovvero dei “piccolissimi corpicciuoli viventi che propriamente non meritano nemmeno il nome di organismi”.
Al di là delle interpretazioni circa la comparsa della vita sulla Terra, Haeckel è ricordato per aver definito per primo cosa è “ecologia” (Oekologie, in Generelle Morphologie, 1866): “Per ecologia intendiamo la scienza che si occupa dei rapporti degli organismi con il mondo che li circonda, che noi consideriamo in senso lato condizioni di vita”.
Tra la definizione di ecologia e la teorizzazione del pensiero monista trascorsero alcuni anni. Sulla base del pensiero evoluzionista egli fondò l’ecologia come rappresentazione delle  “azioni necessarie, nello Spazio e nel Tempo, della Materia vivente nelle sue eterne ed inalienabili caratteristiche” ma fu seguendo la spinta della Naturphilosophie che egli giunse al concetto di monismo, filosofia naturalistica e materialistica al tempo stesso, secondo la quale nessuno spirito poteva esistere senza materia, e viceversa. Il monismo si poneva quale filosofia dell’unità, chiara e senza equivoco.
Inevitabile quindi la spaccatura tra la Chiesa e le idee professate da Haeckel, il quale nel frattempo aveva istituito a Jena la “Lega Monista” tedesca (1906) che in un anno raccolse 2500 adepti, e che soltanto nel 1933, con l’ascesa del partito nazionalsocialista, fu messa definitivamente al bando. La “Lega” venne tuttavia scomunicata, sebbene nel 1912 essa contasse già 7000 componenti, di cui una buona parte animati da sentimenti nazionalisti (assai discussa fu la partecipazione dello scienziato alla “Lega nazionalista pangermanica”). Dopo i massacri della prima guerra mondiale (la “guerra di materiali” secondo Ernst e Georg Fredrich Jünger) Haeckel divenne membro del “Movimento tedesco per la pace”.
Negli ultimi anni si dedicò alla sua collezione naturalistica divenuta, dopo la sua morte, il Museo di Villa Medusa a Jena.

Dopo la messa al bando dei suoi scritti su Darwin, Haeckel si era dedicato a viaggi e ricerche sulla fauna marina dell’Oceano Indiano, raccontati nel diario di bordo Lettere di un Viaggiatore delle Indie (1881). Nello stesso periodo il ritrovamento di crani e manufatti poneva interrogativi sempre più profondi circa il divario tra la mente dell’uomo moderno e quella degli “sconosciuti” antenati. Nello studio delle tribù primitive (le “culture inferiori”) fu cercata una risposta storicizzata alle proprie origini, una risposta che non fosse più arcadica o soprannaturale.
Già Alfred Russell Wallace (1823 – 1913) aveva sostenuto, dopo le sue lunghe ricerche condotte in Sud America, che fosse stato il cervello umano a condizionare il processo di selezione: la posizione eretta e il conseguente utilizzo delle mani come strumenti, e come armi per il dominio, indicavano, nell’evoluzione e nell’adattamento ecologico dell’individuo, la prima fase evolutiva di quella specializzazione che avrebbe permesso al cervello, organo dalle potenzialità inesauribili, di svilupparsi ulteriormente eliminando le sue stesse “parti” limitanti (elusione della specializzazione). “Mentre gli animali che lo circondavano hanno subito modificazioni in tutte le parti del corpo fino a delimitare un genere o una famiglia, l’uomo si è modificato quasi esclusivamente nella testa”, osservò Wallace nel 1876.  Le accuse di misticismo rivoltegli dai positivisti, i suoi dubbi sulla lotta per l’esistenza, lo allontanarono da Darwin.
Dopo un secolo ritroveremo queste considerazioni nell’incipit de L’uomo e la macchina (1931) del l’antidarwinista Oswald Spengler (1880 – 1936) il quale riconduceva l’origine della Zivilisation occidentale alla mano ed al pensiero dell’individuo, alla sua supremazia sugli animali ed alla sua capacità di sopraffazione.
I destini di tali ricerche “dopo Darwin” furono diversi a seconda del substrato culturale di ciascun Paese: in Italia, furono lasciate testimonianze storiche e realtà museali (l’ex allievo di Haeckel, Anton Dohrn, di cui ricorre quest’anno il centenario dalla morte, fondò la Stazione Zoologica di Napoli), furono sviluppate le scienze umane della psicologia e dell’antropologia (Morselli, Ardigò, Sergi, Pigorini) in ambito più o meno positivista; agli antipodi, il terremoto causato dalle teorie evoluzioniste diede luogo in Germania ad un generale ripensamento sulle origini e sui destini riservati all’Uomo, questo strano animale culturale. 



Luisa Sisti

Ultima modifica il Mercoledì, 09 Settembre 2009 10:26
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