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While talking about rock art in Namibia, the mind almost inevitably turns to Twyfelfontein, a UNESCO World Heritage Site. Yet, near the town of Kamanjab, lies another archaeological treasure of inestimable value, less known but equally fascinating: the Peet Alberts rock engravings [1, 2]. This site, also known as Peet Alberts Koppie, is just 6.9 km from Kamanjab and about 229 km southwest of Etosha National Park [2]. With over 1,500 engravings [2], it is considered the second-largest in Namibia for the number and quality of its works [2].

The site is located on a series of granite rock formations [4] and is named after the farmer who discovered them in the 1950s, when his farm extended over the area. For decades, the works remained an almost private secret, known only to locals and scholars, before attracting the attention of the academic world and the cultural heritage community [2].

The engravings, created on a rock surface that stretches for hundreds of meters, represent a true open-air art gallery. The iconographic repertoire is vast and testifies to the richness of animal and cultural life in the region in remote eras. The works date back to a wide span of time, estimated to be between 25,000 and 400 years ago. In particular, it is possible to distinguish two main styles, attributable to the two cultures that alternated at the site [3]:

Figurative Engravings of the San: The oldest works, attributed to the San hunter-gatherers, are predominantly figurative. Figures of rhinoceroses, elephants, giraffes, and antelopes can be clearly recognized, often depicted in motion and with a remarkable attention to detail [1]. For the San people, these engravings were not mere representations of local fauna but were closely connected to shamanic practices. The Great God Gauwa resided beneath the rock surface, and his power was infused in the large animals, especially in their fat. Consuming the fat of these animals was a ritual to infuse the spirit of the world into oneself. The site itself was considered an entrance to the spirit world, and the engravings served as a medium to interact with it.

Pubblicato in Scienceonline


Quando si parla di arte rupestre in Namibia, la mente vola quasi inevitabilmente a Twyfelfontein, un sito Patrimonio dell'Umanità UNESCO. Eppure, vicino alla città di Kamanjab, si nasconde un altro tesoro archeologico di inestimabile valore, meno noto ma ugualmente affascinante: le incisioni rupestri di Peet Alberts [1, 2]. Questo sito, noto anche come Peet Alberts Koppie, dista appena 6,9 km da Kamanjab e circa 229 km a sud-ovest del Parco Etosha [2]. Con oltre 1.500 incisioni [2], è considerato il secondo per grandezza in Namibia per numero e qualità delle opere [2].

Il sito si trova su una serie di formazioni rocciose di granito [4] e prende il nome dall'agricoltore che le scoprì negli anni '50, quando la sua fattoria si estendeva sull'area. Le opere d'arte rimasero un segreto quasi privato per decenni, note solo agli abitanti del luogo e agli studiosi, prima di attirare l'attenzione del mondo accademico e della comunità del patrimonio culturale [2].

Le incisioni, realizzate su una superficie che si estende per centinaia di metri, rappresentano una vera e propria galleria d'arte a cielo aperto. Il repertorio iconografico è vastissimo e testimonia la ricchezza della vita animale e culturale della regione in epoche remote. Le opere risalgono a un vasto arco di tempo, che si stima tra 25.000 e 400 anni fa. In particolare, è possibile distinguere due stili principali, attribuibili alle due culture che si sono alternate nel sito [3]:

Incisioni figurative dei San: Le opere più antiche, attribuite ai cacciatori-raccoglitori San, sono prevalentemente figurative. Si possono riconoscere con chiarezza figure di rinoceronti, elefanti, giraffe e antilopi, spesso raffigurati in movimento e con un'attenzione notevole per i dettagli [1]. Per il popolo San, queste incisioni non erano semplici rappresentazioni della fauna locale, ma erano strettamente connesse a pratiche sciamaniche. Il Grande Dio Gauwa risiedeva sotto la superficie della roccia, e la sua potenza era infusa nei grandi animali, specialmente nel loro grasso. Consumare il grasso di questi animali era un rituale per infondere lo spirito del mondo in sé stessi. Il sito stesso era considerato un ingresso al mondo spirituale e le incisioni servivano come tramite per interagire con esso.

Pubblicato in Redazionale

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