Pazienza. Toccherà aspettare ancora un po’ per avere finalmente in piena operatività questo colossale strumento scientifico, un anello di 27 chilometri , a una profondità che raggiunge i 175 metri sottoterra, al cui interno verranno “sparati” fasci di protoni, accelerati grazie all’uso di oltre 1600 magneti . Grazie ad essi i “pacchetti” di protoni (emessi a una frequenza di circa 75 nanosecondi uno dall’altro) verranno accelerati, una o due volte al giorno, fino a una velocità prossima a quella della luce. Lo scopo? Fare scontrare i protoni in modo che diano luogo all’elusivo Bosone di Higgs, il convitato di pietra del Modello Standard (ovvero il sistema teorico su cui si basa la moderna fisica delle particelle). Secondo i calcoli matematici su cui si regge la fisica moderna, quella particella è il vettore che conferisce alle altre particelle quella proprietà che chiamiamo “massa”. Tanto che qualcuno si è spinto a definirla “la particella di Dio”, perchè sarebbe quella che fa della materia ciò che è. Nessuno però l’ha mai osservata, e questa non è una sorpresa: i calcoli dicono che può apparire solo a livelli di energia altissimi. All’interno di LHC il bosone di Higgs, se esiste, dovrà prima o poi farsi vedere. Se questo non succedesse, secondo qualcuno (per esempio Stephen J. Hawking) non sarebbe necessariamente un fallimento. Anzi, le cose si farebbero ancora più interessanti, costringendo la fisica teorica a rivedere molte delle proprie assunzioni sulla struttura dell’Universo. Non c’è solo Higgs, comunque, tra gli obiettivi di ricerca di LHC: gli altissimi livelli di energia raggiunti all’interno dell’anello consentiranno infatti di affrontare anche molte domande sul rapporto tra le forze fondamentali dell’universo (elettromagnetismo, gravità, forze nucleari), sulla materia e l’energia oscura, forse anche sulla fantomatica teoria delle stringhe.
Se LHC ha avuto gli occhi di tutto il mondo addosso in queste settimane, tuttavia, questo è avvenuto solo in parte per i suoi obiettivi scientifici. È stato molto anche grazie a Walter Wagner, un ex funzionario dell’industria nucleare e oggi gestore di un orto botanico alle Hawaii, che ha per anni lanciato allarmi sul rischio che esperimenti di questo tipo creino dei “mini buchi neri” capaci di inghiottire il mondo intero. E all’inizio di quest’anno, è passato dalle parole ai fatti, presentando un’istanza al tribunale delle Hawaii per chiedere che LHC non venisse acceso.
L’istanza ha costretto il gruppo di lavoro di LHC a riprendere in mano, rivedere e aggiornare la valutazione dei rischi già compilata, come obbligatorio nel 2003, per concludere che i rischi immaginati da Wagner sono fondamentalmente inesistenti: eventi come quelli creati all’interno dell’anello si verificano già continuamente sulla Terra, a causa dell’impatto di raggi cosmici, eppure siamo ancora qua.
A conti fatti, però, è stata forse una fortuna per il CERN quella bizzarra vicenda processuale. Ampiamente rimbalzata sui giornali, ha richiamato un’attenzione mediatica straordinaria su un esperimento di grande importanza ma anche terribilmente difficile da spiegare: un vero incubo giornalistico, che altrimenti avrebbe faticato ad avere così tante prime pagine sui giornali. Che piaccia o no, la lezione di questa storia è che l’allarme (specialmente uno che nessuno in fondo prende troppo sul serio, come in questo caso) è il miglior strumento di marketing possibile per un esperimento scientifico.
Nicola Nosengo