Redazione

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Team internazionale pubblica lo studio Ondate fredde alla fine del Cretaceo, e poi l’asteroide sulla rivista «Science Adavanced» dove emerge uno scenario in cui brevi inverni vulcanici sovrimposti a una tendenza globale al riscaldamento potrebbero aver deteriorato gli ecosistemi prima dell’asteroide di fine Cretaceo.
La fine dell’era mesozoica, 66 milioni di anni fa, è nota per l’estinzione di massa che colpì i dinosauri, e moltissime altre specie. Due le cause di cui si discute da decenni nella comunità scientifica. L’impatto di un asteroide, detto Chixkulub, di cui è oggi preservato il cratere in Yucatan (Messico), e l’eruzione di un volume anomalo di basalti continentali, detti del Deccan, in un’area corrispondente all’odierna India. In un articolo pubblicato sulla prestigiosa rivista «Science Advances», un team internazionale di geologi e geochimici aiuta a definire meglio il ruolo del vulcanismo, attraverso la ricostruzione dei volumi di gas vulcanici liberati. La ricerca è stata condotta da un team guidato da Sara Callegaro dell’Università di Oslo, di cui fanno parte anche ricercatori delle Università di Padova, Trieste e Napoli, ma anche della McGill (Montreal, Canada), dell’Università della California (Berkeley, USA) e del museo di Storia Naturale di Stoccolma (Svezia).

Grazie alle onde luminose estreme sarà possibile concentrare energia in modo preciso e non-invasivo in tessuti tumorali profondi. Questa la scoperta di un gruppo di ricerca formato da Sapienza Università di Roma, Istituto dei Sistemi Complessi del Consiglio Nazionale delle Ricerche, Università Cattolica del Sacro Cuore e Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs, che è riuscito nella trasmissione di luce laser di intensità estrema attraverso tumori millimetrici. Il risultato, pubblicato su Nature Communications, apre importanti prospettive per nuove tecniche di fototerapia per il trattamento del cancro

Pubblicato su «Scientific Reports» lo studio dell’Università di Padova in cui si dimostra per la prima volta che se i batteri intestinali (Lactiplantibacillus plantarum) sono vivi e attivi entrano in simbiosi benefica con l’animale e sono fonte nutritiva Il microbiota intestinale è l’insieme dei microrganismi (batteri, ma anche virus, funghi e protozoi) ospitati da ciascun essere umano o animale sin dalla nascita e per tutta la sua vita.

È una popolazione composta da centinaia di specie diverse formate da cellule e geni. Queste “comunità”, come è noto da tempo, esercitano un effetto benefico sulla nostra salute: temprano il sistema immunitario, proteggono dalle infezioni di agenti patogeni, favoriscono la digestione e prevengono malattie cardiovascolari. Negli ultimi anni è stato scoperto che specifici batteri intestinali favoriscono anche la nostra crescita in condizioni di denutrizione. Semplificando, se una dieta è povera in nutrienti come ad esempio le proteine e se sono presenti batteri intestinali benefici, questi ultimi favoriscono comunque la crescita compensando la mancanza, come si avesse una dieta standard.


Tre prospettive della superficie sulla quale gli elettroni si muovono, la superficie di Fermi

 


Compresa una importante proprietà dei materiali allo stato quantistico: la “curvatura” dello spazio in cui si muovono gli elettroni. La ricerca, pubblicata su Nature Physics, è stata condotta presso il Sincrotrone Elettra di Trieste: è frutto di un team internazionale che ha coinvolto, per l’Italia, il Cnr-Iom, l’Università di Bologna e le Università Ca‘ Foscari di Venezia e Statale di Milano

 Una ricerca pubblicata sulla rivista Nature Physics rivela un nuovo metodo per raggiungere una più profonda conoscenza dei materiali quantistici.

Grazie a una tecnica sperimentale che sfrutta la luce di sincrotrone, infatti, un team internazionale di ricercatrici e ricercatori -di cui fanno parte per l’Italia, l’Istituto officina dei materiali del Consiglio nazionale delle ricerche di Trieste (Cnr-Iom), l’Università di Bologna, le Ca‘ Foscari di Venezia, Statale di Milano e l’Università di Bologna- hanno potuto misurare “l’avvolgimento” degli elettroni, proprietà che determina alcune particolari caratteristiche dei materiali, dalla cui comprensione dipeenderà la possibilità di impiegarli in applicazioni avanzate future.


Ricercatori dell’Università di Padova scoprono che il ciclo circadiano e la proteina BMAL1 possono interferire con la proliferazione dei nostri vasi sanguigni.


L'orologio circadiano è un timer biologico interno che coordina il funzionamento dei nostri organi e l'espressione genica con il giorno solare di 24 ore.
Alterazioni dell’orologio circadiano sono state associate a disfunzioni vascolari suggerendo una possibile diretta funzione dell’orologio circadiano nelle cellule endoteliali che formano i
vasi sanguigni. Tuttavia, il ruolo funzionale dell'orologio circadiano nelle cellule endoteliali e nella regolazione dell'angiogenesi (processo di formazione dei vasi sanguigni) è ampiamente inesplorato.

«Nel nostro laboratorio abbiamo utilizzato approcci innovativi per dimostrare che le cellule endoteliali possiedono un proprio orologio molecolare e mostrano robuste oscillazioni dell’espressione dei geni durante l’alternarsi del giorno e della notte – spiega il prof. Massimo Santoro, del Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova e corresponding author dello studio -. Compromettendo la funzione specifica del maggiore regolatore dell'orologio circadiano, una proteina chiamata BMAL1, rileviamo difetti dell'angiogenesi nei tessuti vascolari neonatali del topo, nonché nei vasi sanguigni che irrorano un tumore.


Uno studio coordinato dal gruppo di ricerca del Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche dell’Università di Torino ha dimostrato come la niacina, una forma di vitamina B3, migliori lo stato dei mitocondri, contrasti l'atrofia muscolare e le alterazioni del metabolismo energetico nei pazienti oncologici.

 Il gruppo di ricerca coordinato dal Prof. Fabio Penna del Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologichedell’Università di Torino ha appena pubblicato un lavoro scientifico sulla prestigiosa rivista ‘Nature Communications’ (https://rdcu.be/c82wc) in cui si dimostra l’efficacia della niacina, una forma della vitamina B3, nel contrastare la cachessia neoplastica, una sindrome multifattoriale caratterizzata dalla perdita progressiva di massa muscolare, con o senza perdita di massa grassa, di un paziente oncologico.


Realizzato un modello per l’analisi automatizzata delle immagini Tac mediante algoritmi di intelligenza artificiale. La ricerca è frutto di una collaborazione tra Cnr-Iccom, Università di Firenze, A.O.U. Careggi, Azienda Usl Toscana centro, Istituto Superiore di Sanità, Fondazione Bruno Kessler e Uniser Pistoia. Pubblicata sul Journal of Medical Imaging, permetterà di perfezionare i livelli di radiazioni da somministrare ai pazienti.

 Un gruppo di ricercatori, fisici medici e radiologi del Dipartimento di fisica e astronomia dell’Università di Firenze, dell’Azienda ospedaliero-universitaria Careggi, e dell’Azienda Usl Toscana centro, guidato dalla dott.ssa Sandra Doria dell’Istituto di chimica dei composti organo metallici del Consiglio nazionale delle ricerche di Firenze (Cnr-Iccom), è riuscito ad automatizzare il processo di valutazione della qualità d’immagine negli esami di tomografia computerizzata (Tc) utilizzando l’intelligenza artificiale, allo scopo di ridurre le radiazioni al paziente. Al progetto, la cui modalità è stata descritta in uno studio pubblicato sul Journal of Medical Imaging (JMI), hanno collaborato anche l’Istituto superiore di sanità e la Fondazione Bruno Kessler di Trento, utilizzando le risorse computazionali messe a disposizione da Uniser Pistoia.


Pubblicato su «PNAS» lo studio dell’Università di Padova e della Fondazione Museo Civico di Rovereto in cui si dimostra come la maggioranza delle piante delle Alpi nord orientali italiane si sposta verso quote più alte come risposta ai cambiamenti climatici. Il Bromus erectus, ad esempio, negli ultimi trent’anni si è spostato con una velocità di circa 3 metri l’anno.

Il Sorghum halepense, una specie aliena, si è spostato con una velocità di 4 metri l’anno. Diverso è il caso della Pulsatilla montana, specie rara, che ha retratto la sua distribuzione storica di circa 50 metri nei trent’anni. Le piante aliene, soprattutto negli ambienti antropizzati, sono molto veloci a crescere e sottraggono le risorse alle altre specie autoctone. È stata pubblicata sulla rivista internazionale «Proceedings of the National Academy of Sciences» (PNAS) la ricerca dal titolo “Red-listed plants are contracting their elevational range faster than common plants in the European Alps” firmato dal professor Lorenzo Marini e dalla dottoressa Costanza Geppert del Dipartimento di Agronomia, Animali, Alimenti, Risorse naturali e Ambiente dell’Università di Padova insieme ad Alessio Bertolli e Filippo Prosser, botanici della Fondazione Museo Civico di Rovereto, sulle variazioni della distribuzione geografica delle  piante alpine in base ai cambiamenti a lungo termine delle temperature.

 

Un nuovo studio coordinato dal Dipartimento di Ingegneria meccanica e aerospaziale della Sapienza e dall’Università di Chicago rivela un nuovo meccanismo di apertura di alcuni canali ionici che regolano la contrazione cardiaca. Lo studio, pubblicato sulla rivista Nature Communications, è stato realizzato nell’ambito del progetto ERC HyGate

Gli organi vitali come i muscoli, il cuore e il cervello per funzionare hanno bisogno di proteine, i canali ionici, che regolano il passaggio di ioni come potassio o sodio attraverso la membrana delle cellule grazie a un meccanismo controllato di apertura e chiusura definito “gating”. 


Nel sito di Nyayanga, in Kenya occidentale, sono stati ritrovati esempi di industria litica olduvaiana risalenti a circa 3 milioni di anni fa. Le analisi dei reperti litici, condotte presso il Dipartimento di Scienze dell’antichità della Sapienza, dimostrano l’utilizzo di strumenti innovativi per la lavorazione di una vasta gamma di materiali e per il consumo di animali di grandi dimensioni da parte degli hominins. Lo studio è pubblicato sulla rivista Science
Nyayanga è una località archeologica presso l’Homa Peninsula, nel Kenya occidentale, caratterizzata da un ambiente ricco di depositi fluviali e lacustri risalenti a oltre 6 milioni di anni fa.

Un nuovo studio internazionale, a cui ha preso parte il Dipartimento di Scienze dell’antichità della Sapienza, documenta le ricerche condotte in questo sito dove sono stati ritrovati i più antichi esempi di innovazione tecnologica, conosciuta come industria litica olduvaiana, risalenti a circa 2,9 milioni di anni fa. I risultati del lavoro, pubblicati sulla rivista Science, hanno permesso la ricostruzione della paleodieta, ma anche di parte dell’ambiente geografico e dell’ecosistema degli ominidi.

 

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